di Emidio De Berardinis
L’uomo è in costante lotta con l’oblio. L’uomo è il tempo: è tempo presente nel quale convivono passato e futuro. È soggettività frammentaria e frammentata. È una frattura, una dissonanza tra sé e soggetto parlante.
Eija-Liisa Athila, regista del tempo, video artista, ferma nel presente gli echi del passato e mette in scena spazi e tempi compresenti. Così l’uomo: intreccio di coscienze, che siano ricordi, fantasie e percezioni, un flusso armonioso di un puzzle potenzialmente completo.
La vita che l’artista mette in scena nelle sue opere è una lotta contro l’oblio, contro quel passato tendente a slittare via. Le coscienze che lottano, sono frammenti sparpagliati di un’esistenza difficile da riordinare e la lotta genera frenesia e impazienza: i suoi personaggi sono sempre nervosi e veloci nel pensare, nel parlare, nell’agire. Un’azione speciale, come quella dell’incidente in Today (1996/1997) mette in relazione tre persone che hanno assistito all’evento e che prendono spunto da quest’ultimo per riflessioni che rimettono in gioco il proprio passato esorcizzandolo: la famiglia, le relazioni, la morte. Nello stesso frammento, il presente: “l’immagine cristallo” di Deleuze, secondo il quale, il passato non si forma prima del presente ma con questo, il tempo è sdoppiato in due azioni, la prima si protrae in avanti, l’altra indietro. Le installazioni a più schermi sono la chiave per mostrare le diversità temporali e spaziali e lo sono per mettere in scena l’alterità umana. Immaginate di vedere un’anziana portare la spesa fuori in strada, poi rielaborate la scena.
Potrete immaginare l’anziana in primo piano, di lato, in soggettiva, e questi punti di vista possono coesistere su diversi schermi nello stesso spazio. Così, immaginate un uomo, nel presente, in cui convivono passato e aspettative future, che guarda fuori dalla finestra il mercato e nello stesso tempo pensa a un vecchio sogno o ricorda. Tutte queste possibilità di coscienze e di tempi e di spazi, un labirinto tenuto saldo dall’io, possono non coesistere più nella stessa struttura e scivolare l’una sull’altra generando follia. È il caso di Anne, Aki e God (1998), Aki, si ammala di schizofrenia, si chiude in casa e comincia a vedere un mondo con regole, suoni e esistenze proprie. Fantasia e realtà scorrono parallele sullo stesso piano e Aki immagina e ottiene la fidanzata ideale. Athila dispiega questi mondi in cinque monitor e due schermi, che proiettano velocemente la dissociazione mentale. Vengono proiettate immagini reali, come i provini per la parte della fidanzata di Aki, e finzioni, come il mondo immaginato e Dio. Lo stesso Aki, è mostrato con diverse facce e diverse voci. Così in Okay (1993), una donna parla della sua relazione sessuale camminando nervosamente sola nella sua stanza, ma le voci che udiamo sono molteplici, sia maschili che femminili. Oppure in Me/We (1993) in cui un’intera famiglia muove le labbra e l’unica voce presente è quella delle riflessioni del padre in silenzio. Il soggetto è il tempo che si cristallizza in svariati modi, senza mai essere lo stesso: una polifonia temporale e un soggetto straniato di alterità, in cui il sé non sempre coincide con il corpo ospitante.
di Luca Torzolini
Avreste mai pensato che delle uova potrebbero mettervi ansia?
Funny games lo fa. Thriller psicologico dalla sceneggiatura insolida, progettata in maniera impeccabile da Micheal Haneke per deliziare il macabro gusto di un omicidio senza senso. Lo scopo? Ludico.
I cattivi contro i buoni. Ma stavolta chi vince? Personaggi che ammiccano allo spettatore senza rompere l’incanto del film, tempi lunghi e inquadrature fisse. Il primo tempo ti incolla alla poltrona salendo in un climax interminabile, poi abbiamo 10 minuti di stasi totale e infine torna il circolo della morte. Il film utilizza meccanismi ansiogeni, ai livelli de L’inquilino del terzo piano, parlando dell’istinto predatore di chi si annoia, con aggiunta la ferinità tipica degli animali.
Characters assimilabili al protagonista di Arancia meccanica.
Un film alto, difficile da classificare a causa della contrapposizione fra una struttura insolita e meccanismi meta-filmici.