di Marco Sigismondi
Esaltarsi di fronte ad una nuova scoperta è una di quelle caratteristiche che mi rende un fanatico della musica. Se poi la nuova scoperta è anche una nuova uscita e addirittura di un gruppo giovane, l’esaltazione è completa. Il metal ci ha più volte abituato, e il metal estremo più di tutti gli altri generi, a grandi gruppi venuti fuori da posti incredibili: questo è uno di quei casi. Nativi della controversa Gerusalemme, i Melechesh ci forniscono un disco fresco e potente. Emissaries è intriso di un sapore mistico ed orientale che traspare tanto nelle tematiche, incentrate sulle origini mitologiche della loro terra, quanto nelle melodie. Potente e sulfureo, riesce a trasportare l’ascoltatore in quei luoghi che i media ci mostrano distrutti dalle bombe, ma dei quali una volta tanto, possiamo godere per la storia e il fascino che i Melechesh riescono a raccontarci.
di Marco Sigismondi
Dalle prime note di questo Piano Solo, si nota come Stefano Bollani dimetta immediatamente il cappello a sonagli che ne identifica la qualifica di buffone per indossare gli abiti del pianista, al momento uno dei migliori italiani in campo jazz. Ispirato, a detta dell'autore, al compositore russo Sergey Prokofiev, il disco passa da momenti più melodici come On a theme of Sergey Prokofiev a pezzi carichi di dissonanze e piuttosto complicati come le varie Impro (I, II, III, IV), mantenendo tuttavia un filo conduttore: quello del jazz, di cui Bollani si rivela veramente ottimo interprete, nonché portabandiera italiano. A tratti molto spigoloso e complesso, dai suoni quasi intellettuali, il disco sembra rivolgersi principalmente a preparati estimatori, senza però chiudere le porte ad un ascolto più intuitivo. Senza dubbio molto ben suonato e capace di dare forti sensazioni. Basta chiudere gli occhi per sentire l'odore di sigaretta al chiuso, il sapore dell'alcool, i respiri, i colpi di tosse, le voci che discutono e persino il pianoforte sembra perdere di qualità nel suono, per divenire un vecchio piano verticale, scolorito dal tempo in un vecchio bar di New Orleans.