di Chiara Di Biagio
“Da un punto di vista superiore, la storia del genere umano può ben apparire come nient’altro che un lungo ballo mascherato”, scriveva Jean Paul nelle ultime pagine del Flegeljahre. E indubbiamente il Carnaval op. 9 di Schumann incarna alla perfezione questo passo, presentandosi come un incontro fantastico tra musica, opera letteraria e vita reale, dove un caleidoscopio di maschere, turbinando davanti ai nostri occhi, diventa lo specchio della cultura romantica allora emergente. Lentamente compaiono una dopo l’altra le figure di Paganini, Chopin, Clara (Chiarina), futura sposa del compositore, Ernestine von Fricken (Estrella), allora sua fidanzata, e lo stesso Schumann, sdoppiato tra il sognante Eusebio e l’appassionato Florestano. Personaggi reali che quasi si confondono tra le vere maschere di Arlequin (Vivo in Si bem Maggiore), Pantalon e Colombine (Presto in fa minore), reclutate nell’immaginaria lega dei Davidsbundler, che sfila unita contro ogni ottuso accademismo per aprire la strada ad una nuova era musicale. Schumann abbandona la forma della Sonata per la più libera “variazione su tema”, difatti un orecchio attento può scorgere riferimenti a Schubert (Sehnsuchtswalzer) e Beethoven (Quinto Concerto), ma anche alle più classiche musiche da salotto, con chiaro intento ironico. Alla fine il compositore giudicherà la sua stessa opera “senza alcun valore artistico” e affermerà: “soltanto i suoi differenti stati d’animo mi sembrano di qualche interesse”. Ma tanto è bastato a renderla immortale.
di Marco Sigismondi
Corsero troppo forse, per questo si stentava a capirli. Ma come biasimare chi storse il naso? Immaginate di andare ad una concerto che si fregia del nome di King Crimson. Immaginate di cercare con lo sguardo il tanto atteso leader Robert Fripp ed immaginate di scorgerlo finalmente seduto dando il fianco al pubblico semi-coperto da strumenti e marchingegni vari. Sì, forse anche voi avreste storto il naso e li avreste lasciati lì a suonare per quelle cinquanta persone in estasi. Poi vi sareste chiesti cosa ci vedessero quelle cinquanta persone nella loro musica.
La risposta l’avreste avuta solo trent’anni dopo. Quelle cinquanta persone non riuscivano certo a stare al passo con i Crimson già proiettati nel futuro, ma qualcosa intuivano. A sentirli oggi sembrano ancora troppo originali, troppo tecnici, troppo complessi. Difficile era per il concertista di turno stare dietro alle manie di perfezionismo di Robert Fripp ed altrettanto difficile sembra esserlo per l’ascoltatore. Come si fa ad ascoltare una musica dove il rock di Rolling Stones e Jimi Hendrix si mescola alla musica classica di Gustav Holst e Bela Bartòk? Come si fa a star dietro alle loro tematiche, alle poesie onirico-visionarie di Peter Sinfield (per i primi quattro album, quegli più rappresentativi)? Forse non è ancora possibile, forse ci hanno lasciato indietro i King Crimson. Alla musica semplice.
Sono una persona che si vanta di apprezzare musica complessa, che digerisce Rachmaninoff e Sostakovič, ma ammetto che la prima volta che mi misi di fronte a In the court of the King Crimson rimasi piuttosto sconvolto e dovetti impiegare almeno 10 ascolti per poter dire di cominciare ad apprezzarli. Forse rimangono ancora troppo avanti per i nostri tempi, o perlomeno lo sono stati per i loro; ma l’essere avanti è una qualità che condividono con gente quale Beethoven, mica il primo che capita.
“La musica classica è una parte fondamentale della nostra cultura, della nostra storia, della nostra identità. Ma non ha una adeguata possibilità di esser conosciuta, apprezzata, amata, soprattutto dai giovani".
Così il Maestro, nel 1999, introduceva l'iniziativa Uto Ughi per Roma, finalizzata a "creare un’occasione unica di contatto tra la musica classica e un pubblico nuovo", con una formula in grado di unire "l’alta qualità dei concerti e degli artisti alla totale gratuità dei concerti".
Ora, conclusa la decima edizione della rassegna, Uto Ughi si ritiene soddisfatto del "tutto esaurito" e quindi della grande affluenza di spettatori, compresi i "profani della musica". E se è vero che, al giorno d'oggi, si assiste con frequenza sempre maggiore all'involgarimento dell'Arte di fronte alle esigenze di mercato, il Maestro ci dimostra che è possibile muoversi anche in controtendenza, rifiutando di svendere l'arte al pubblico e decidendo di avvicinare, seppure con molti più sforzi, il pubblico alla cultura.
E' assodato, del resto, che la musica classica sia uno dei settori più ostici per coloro che non hanno ricevuto una buona educazione musicale; d'altra parte, come lo stesso Ughi ha avuto modo di affermare in più di un'occasione, ci sono persone in grado di commuoversi fino alle lacrime di fronte al suono di un violino, capaci di cogliere il livello emozionale della buona musica pur non possedendo alcuna nozione compositiva.
E che alla rassegna "Uto Ughi per Roma" ci fossero profani, è testimoniato da quanto è accaduto nell'ultima serata della manifestazione, nella quale sono state eseguite la Sonata a Kreutzer (per violino e piano) di Beethoven e La Trota (soprannome del “Quintetto in la maggiore”) di Franz Schubert: a digiuno di musica classica, infatti, la maggior parte degli ascoltatori ha applaudito alla fine di ogni movimento, senza attendere la conclusione delle opere. Dopo qualche battutina scherzosa, il Maestro ha fatto notare che "le opere sono belle perché complete" ed è riuscito nell’intento di bloccare l’esuberanza: il pubblico ha capito, aspettato e poi – ad opera conclusa– ha dato sfogo agli applausi repressi.
La sonata a Kreutzer in particolare riesce a fare breccia nel cuore degli ascoltatori nonostante il disagio della lunga durata; tuttavia la storia della sonata in sé non ha potuto che attirare chiunque.
Scritta nel 1803 ed inizialmente chiamata Sonata n. 9, op. 47 per violino e pianoforte, venne dedicata dallo stesso Beethoven al giovane violinista mulatto George Bridgetower che ebbe modo di incontrare. Tra i due si instaurò un ottimo rapporto finchè l’alcool tirò fuori al giovane violinista ciò che la decenza gli aveva negato. Dopo una serata troppo esuberante finì per fare pesanti apprezzamente sulla donna di cui era innamorato Beethoven così che il maestro per ripicca intitolò la sonata al violinista parigino Rudolph Kreutzer. Ironia della sorte, il povero Krutzer non ebbe mai le capacità tecniche per suonarla tanto era difficile.
In definitiva un festival fatto per i giovani, pensato per i giovani e in fin dei conti seguito dai giovani. L’impegno del maestro in questo frangente è ormai risaputo, e non provino i soliti detrattori a mischiare le carte in tavola tirando fuori le recenti critiche del maestro a quello che oggi è considerato il grande pianista italiano: Giovanni Allevi.
Critiche mirate più che altro alla sua spocchia (risaputa anche se nascosta sotto un velo di timidezza) e alla valenza artistica che viene definita dal maestro “Un collage furbescamente messo insieme. Nulla di nuovo. Il suo successo è una conseguenza del trionfo del relativismo: la scienza del nulla”.
Uto ughi critica la commercialità del “prodotto” Allevi e finalmente lo spoglia degli indumenti classicheggianti con cui da tempo il pianista marchigiano usa riconoscersi.
Sicuramente l’apporto di Uto Ughi per la musica classica è molto più forte di Allevi che si definisce “come l’Islam”, e di questo ce ne da conferma l’intervista che ci ha rilasciato.
Incontriamo il Maestro al Santa Cecilia, dove saranno premiati i cinque migliori diplomati del conservatorio e dove Uto Ughi riceverà un premio speciale per la sua brillante carriera di violinista. Alla serata partecipano anche Gianni Letta e Antonio Caprarica.
Proprio stasera abbiamo ascoltato l’esecuzione di Quadri da un’esposizione di Mussorsgky, musica che ha trovato la sua forza nella contaminazione con l’arte pittorica di Victor Hartmann.
Qual è la sua opinione riguardo alla contaminazione tra arti?
Io sono contrarissimo alla contaminazione. Già la parola “contaminare” non mi piace. Ogni genere ha una sua ragione di esistere.
E per quanto riguarda la contaminazione della musica classica con generi musicali più moderni, come avviene ad esempio nel rock?
No, per carità, è un errore da evitare.
Al giorno d'oggi tutto fa audience. Non crede che spesso si sfrutti l'enfant prodige per farne un fenomeno da baraccone?
L’importante è che i giovanissimi non vengano “spinti” a suonare controvoglia.
Maestro Ughi, in occasione della manifestazione “Uto Ughi per Roma” ci siamo accorti che gli amanti della musica classica sono stati decisamente presenti. Tirando le somme, è stato un successo?
Beh, voi verrete la prossima volta?
Certamente.
Allora significa che ha funzionato.