di Emiliano Ventura
L’anno 2013 ha visto il ritorno di due artigiani della musica e della parola, due tra i più longevi e affermati artisti della musica italiana: Francesco De Gregori e Claudio Baglioni.
È nota l’amicizia che li lega da anni, così come il mito che li ha visti nel lontano 1975 fare la questua al Pantheon; i due si sono messi a cantare con la custodie delle chitarre aperte a raccogliere offerte, sembra che nessuno li abbia riconosciuti. Leggenda vuole che i giovani cantautori, freschi di successo, abbiano mal digerito questo bagno di anonimato. Quasi quarant’anni dopo si trovano ancora sulla scena della musica italiana, ma è naturalmente mutato il loro atteggiamento.
Si prendano come riferimento i nuovi lavori, i singoli Guarda che non sono io di Francesco De Gregori e Con voi di Claudio Baglioni: sono qui espressi due concetti che trovano riscontro nella contemporaneità, il frammento e la sottrazione; entrambi i fattori conducono all’indebolimento di una struttura più o meno consolidata.
Alla maturità corrisponde la sottrazione, all’accumulo si preferisce la leggerezza dell’essenziale (Guarda che non sono io di De Gregori), così come al narcisismo egoico, ad una soggettività forte, si predilige il confronto con l’altro (Con voi di Baglioni), dalla totalità si approda al frammento.
Procedendo per gradi, analizziamo le caratteristiche del singolo di De Gregori.
Guarda che non sono io è una canzone che ridimensiona notevolmente il mito (o il presunto mito) dell’uomo di successo, del cantate idolatrato. In una condizione di normale quotidianità, all’uscita da un supermercato il protagonista (Francesco De Gregori) si imbatte in uno dei fan che gli chiede il feticcio della foto e magari pone domande esistenziali al suo idolo (‘la parola che mondi possa aprire’ di Montale)
L’autore si sottrare a questo divismo e dice: “guarda che ti stai sbagliando, guarda che non sono io”; non che sia realmente un altro, un banale scambio di persona, ma non è lui la persona immaginata e idolatrata nel ruolo del cantante e dell’interprete. È un’operazione di sottrazione, di vitalità giovanile e narcisismo; l’ego tende a perdere la sua centralità, quasi a volersi confondere con una situazione di banalità (le buste della spesa in mano). È una posizione matura, non ha niente a che vedere con il sic transit gloria mundi, dove a regnare è l’oblio e la precarietà della gloria. In Guarda che non sono io vi è un gioco ironico messo in atto sul ruolo del cantante e sulle giovanili aspirazioni narcisistiche della centralità del successo.
Nel singolo presentato da Claudio Baglioni, Con voi, e in tutto il progetto cui si accompagna, ci si trova di fronte al ‘frammento’, una categoria quanto mai attuale nel linguaggio del così detto postmoderno (più-che-moderno, sarebbe forse un termine più adatto).
Frammento e non finito sono caratteristiche delle opere del Novecento, letterarie e non, si pensi ai Frammenti di un discorso amoroso di Barthes, al Se una notte di inverno un viaggiatore di Calvino, agli Esercizi di stile di Queneau.
Il progetto di Baglioni entra in dicotomia con la funzione tradizionale del CD, il vecchio Album con un insieme de-finito, e più o meno coerente, di canzoni; non più discorso di completezza e di coralità, ma di frammento legato anche alla precarietà; l’edizione dei vari singoli non è infatti stabilita in principio ma è condizionata alle energie-sinergie dell’autore con il pubblico, in pratica se i testi piacciano o meno, ma anche se l’autore abbia volontà di continuare a scrivere.
In caso di mancanza di riscontro o di stanchezza dell’autore, il progetto di incidere un singolo ogni tanto (tempo indefinito) potrebbe interrompersi. Forse non è un caso che solo qualche mese prima il cantante stesso abbia valutato l’ipotesi di smettere il ruolo di interprete musicale, consegnandosi così a una precarietà scevra da impegni e scadenze che lo renda più libero.
Doveroso segnalare la frase di inizio del singolo: “La mia canzone più bella è quello che ho suonato meno”, dove permane l’idea della poesia famosa di Hikmet (Il più bello dei mari è quello che non navigammo).
C’è soggiacente il concetto che in una sottrazione, un difetto (il suonare meno) ci sia una condizione di bellezza ancora là da venire; è in questo sottrarre (ancora un negativo come nella più alta tradizione del pensiero contemporaneo) che alligna un qualcosa di prezioso.
Quei due ragazzi che soffrirono nel ’75 per questa carenza di riconoscimento pubblico hanno fatto un lungo processo che li ha portati quasi a cercare questa sottrazione, a demitizzare ruoli e stereotipi nell’arte di scrivere e interpretare canzoni.