Holy EYE

CERTIFIED

di Federica Lamona

Miei cari lettori… Provate a prendere una persona terribile, diciamo decisamente insopportabile, dotatela di un talento fuori dal comune e otterrete un decadente o giù di lì. Bene… a quanto si vede in giro, i “ miracoli” della selezione naturale hanno bissato sulla genialità e ci hanno lasciato una fantastica gamma di personaggi discutibili e quasi teneramente non coscienti della cruda beffa darwiniana. Maledetti, poeti e non, “dandy”, intellettualoidi di ogni sorta popolano il grande schermo (compreso quello piccolo), i giornali… i pub. Ebbene sì… anche i pub. E poi, diciamoci la verità, non c’è niente che fa più tendenza di ciò che è in controtendenza. Così l’approvazione indiscriminata nei confronti di chi ostenta un’ipocrita e costosa sciatteria nel vestiario, damascata da un falso atteggiamento relativistico, infarcito di un solitamente ristrettissimo repertorio di citazioni, meglio se provenienti da fonti ignote ai più, lava via dalla coscienza la brutta idea di far parte di un grasso branco di “pecoroni” con il cervello sotto formalina. Perfino gli opinionisti delle trasmissioni di gossip cercano di darsi un contegno citando Proust, perché la cultura è come il “nero”… sta bene con tutto! D’altra parte il nostro compianto conterraneo Ivan Graziani cantava giustamente in Pigro: “Una mente fertile, dici, è alla base, ma la tua scienza ha creato l’ignoranza”. Allora da dove nasce il fascino del ruolo sopra le righe? Probabilmente dai Wilde (saccheggiato a sproposito soprattutto nel repertorio degli aforismi), Rimbaud, Verlaine e prima ancora di loro, dai Benvenuto Cellini, François Villon e molti altri fino ad arrivare a Jim Morrison. Epoche storiche, esseri umani e geni diversi: tutti entrati nel mito per la sregolatezza, il disgusto dell’anonimato, il disprezzo del limite. Limite che risulta un elemento interessante in questo frangente. Infatti, sembra che la coscienza delle proprie effettive attitudini sia un carattere recessivo e che questa carenza abbia generato una grandiosa e pittoresca “fiera dell’incapacità” in cui i nostri campioncini dell’immodestia quasi sempre riescono ad ottenere molto più di quello che meritano. E ciò accade in ogni ambito, artistico e non. In particolare i “signori” che sono stati citati prima e su cui è stata costruita la leggenda, vivevano intensamente un’arte che affondava le sue radici nella sofferenza; una sofferenza non patinata, non recitata, una sofferenza che era carne e sangue. Scimmiottare talenti che non si hanno mostra la fragilità e la piccolezza di chi non ha consapevolezza di sé, di chi cerca di soddisfare sottilmente una fame inesauribile di compiacimento. Seguire la propria natura è un atto di filantropia a questo punto. Magari il mondo potrebbe diventare un posto vivibile se ognuno riconoscesse in maniera onesta il fatto che si è ciò che si è. E nient’altro. Senza cucirsi nessuna identità artificiale addosso. E magari questi tizi che vogliono a tutti i costi salire a bordo del “battello ebbro” o che s’“inebriano” in tutta autonomia con i deliri di onnipotenza, non ce li ritroveremmo tra i piedi quando guardiamo un film, quando ascoltiamo della musica, quando leggiamo un libro, quando sfogliamo la pagina politica. Comunque il loro scopo lo hanno raggiunto anche stavolta. “Purché se ne parli”.

di Federica Lamona

Cito testualmente “uno dice, che male c’è ad organizzare feste private con delle belle ragazze per allietare primari e servitori dello stato?… non ci siamo capiti e perché mai dovremmo pagare gli extra dei rincoglioniti?”. Questo è quanto canta il maestro Battiato nel suo nuovo singolo Inneres auge. I riferimenti non sono puramente casuali, tuttavia in questa sede non si vuole trattare il fatto in sé come ci si aspetterebbe. In realtà urge la necessità di un’analisi di coscienza mediatica; ovvero rivendicare la libertà di stampa è un diritto costituzionale e non si discute: ma che uso si sta facendo di questa tanto sospirata e clandestina libertà? L’artista citato sfodera come al solito tutta la sua classe raffinatamente colta ma quanti sono in grado di trattare gli stessi argomenti in maniera intelligente senza cercare di sfruttare il clamore solo per le ragioni della “borsa”? La situazione è questa: il povero diavolo che va a lavoro ed esce di casa al mattino ( e siamo ottimisti pensando che il nostro ipotetico signor Nessuno ce l’abbia ancora un impiego), va comprare un qualsiasi quotidiano e finisce per trovarsi fra le mani un giornaletto scandalistico di quart’ordine che conserva solo l’aspetto del quotidiano. Perché? Perché siamo caduti così in basso? Innanzitutto, a quanto pare, fanno più notizia le prodezze, l’orientamento o l’impotenza sessuale di qualche politico piuttosto che la reale situazione economica di questo Paese (da sottolineare il termine “reale”); reale”); ma la cosa che desta maggiore stupore è il fatto che coloro che reclamano la libertà di stampa sono i primi a farne un pessimo uso. Il moralismo nell’attuale stato di cose non serve a nessuno; ce ne sbattono in faccia a quintali in modo spudorato ma a nessuno viene in mente di rimboccarsi le maniche e proporre positivamente… quanto dispendio gratuito di energie. Sono tempi bui, miei cari, più bui del tanto stigmatizzato Medioevo. Dante Alighieri, autore vissuto fra il Duecento e il Trecento, fu costretto ad elemosinare il “salato pane altrui” nelle corti d’Italia per tutta la vita o per lo meno nelle corti che ancora lo accoglievano con benevolenza, perché non fustigate dalla sua penna inclemente. Quest’uomo, nel suo capolavoro, ha collocato un papa all’Inferno, nella condizione più abbietta tra tutti i dannati: quella degli ignavi! Di certo Dante non peccava di ignavia e l’aspra critica alla società contemporanea era accompagnata dalla fiducia propositiva in un nuovo progetto politico imperiale di pace, di giustizia, di netta separazione tra potere spirituale e temporale. La verità, per il poeta, valeva la persecuzione perpetua. A questo punto viene da dire: i finti martiri della carta stampata in circolazione si preoccupano di recitare una parte che comprende prese di posizione assolutamente improduttive per il bene comune, o lottano per la verità capace di migliorare il mondo?


di Federica Lamona


To Bring You My LoveIn America Latina esiste la leggenda della donna–lupo o cantadora, che vive nel deserto e narra le  storie della vita, della morte e della creazione del mondo cantando sulle ossa di animali fino a resuscitarle miracolosamente. Un canto carnale e mistico che disegna la suprema armonia dei contrari: il bianco e il nero, la morte e la vita. Solo evocando questa figura mitica si riesce a descrivere l’eccezionale vocalità di Pj Harvey. In questo album la voce si rompe in un dolore sordo per la morte del suo amore in Teclo; esplode nell’orgasmo paradisiaco e peccaminoso dell’amplesso vorticoso di”Long snake moan; si irrigidisce metallica nello sfogo della prostituta in Working for the man; si lascia trasportare dall’ingenuità degli accordi e della promessa di ritorno dell’uomo che l’ha lasciata incinta in C’mon Billy; cerca le profondità dell’acqua dove è annegata sua figlia in Down by the waterPj Harvey canta per narrare, quando la strumentazione è essenziale  per un album prodotto e suonato in maniera quasi interamente autonoma. La chitarra spadroneggia ma il sentimento di sperimentazione innerva ogni brano con l’uso delle percussioni o dell’organo. E poi lei: un po’ Nick Cave e un po’ Patti Smith,  assolutamente perfetta  nella sua naturale androginia vocale gravida di sensualità. Unica.

di Federica Lamona


Donne e letteratura 2Lo sapevate che un pugno di “vecchie zitelle” qualche secolo fa scoprì le pari opportunità  senza avere le “doti”delle “ministre” dei giorni nostri ?
Ancora una volta deluderemo le vostre aspettative. Questo non è il solito articolo femminista con rivendicazioni sull’esclusivo possesso della vagina o sul vittimismo prodotto di anni e anni di giogo di una società sin dai tempi biblici spudoratamente patriarcale. Sarebbe troppo prevedibile. Anche perché lo stereotipo della donna infuriata con l’intero genere maschile… diciamoci la verità... non  funziona più… non ha mai funzionato... A che serve urlare quando in passato donne degne di questo nome, dal chiuso della loro casa dallo steccato bianco e dalle aiuole odorose e ben curate, scrivevano le più belle pagine della letteratura mondiale? Alcune signorine della storia letteraria inglese, che polemicamente rimasero tali per tutta la vita, lasciarono parlare  le loro opere pubblicate con pseudonimi maschili, corrodendo dall’interno lo stereotipo della brava ragazza dell’alta borghesia, accettato e sfruttato solo come veste d’apparenza. Jane Austen, ad esempio, oltre che  sfornare magnifiche torte(?), ritraeva con pennellate caustiche, ironiche, salaci,quasi dickensiane(?), i personaggi vivi della seconda metà del XVIII secolo con le loro frivolezze tremendamente reali, tra balli, pettegolezzi, pizzi e crinoline accuratamente intessuti di amare delusioni e fallite scalate sociali. Emily Brönte, nota ai suoi contemporanei come il romanziere Ellis Bell, si occuperà per l’intera esistenza del ménage familiare, ma darà vita ad un capolavoro come Cime Tempestose. Qui la nobile protagonista Kathrine viene consumata fino alla morte dalla passione malata e adulterina per Heathcliff: uno spietato straniero senza radici, uno zingaro dalla pelle scura animato da sanguigni istinti primordiali. Il tutto immerso in un’atmosfera oscura dove il gelido vento della brughiera ulula fra apparizioni  spettrali, agonizzanti barboncini impiccati e tombe custodite dai rovi. E l’elenco delle illustri rappresentanti del genere femminile in questo campo sarebbe infinito. Il punto però è un altro. Essere donna non significa “ostentazione” per un verso o per l’altro: per vuota apparenza o per rifiuto sterile e snaturante della congenita femminilità. Essere donna è un dono:  la vita, l’intuizione, le viscere, l’utero, l’intelletto, il canto enigmatico delle sirene; è indossare i pantaloni con la mente e… soprattutto…. dire a qualcuna delle nostre “ministre” di sbottonarsi un altro po’ quella camicetta così prende la laringite e magari la finisce di sparare balle…

di Federica Lamona


Il Satyricon, la diversità oscura e la pornografia emotivaCosa hanno in comune il ventunesimo secolo e l’età di Nerone?
Iniziamo dicendo che il Satyricon è uno di quei testi da annoverare nella categoria dei capolavori, perché ostentando il disimpegno assoluto sbatte in faccia al lettore una realtà carnale che sottolinea il lato oscuro del diverso di cui ognuno di noi ha una paura folle.
L’opera di cui parliamo è un romanzo polemicamente contrapposto a quelli di ascendenza greca circolanti in quel periodo narranti le vicende di una coppia eterosessuale che fra mille peripezie riusciva alla fine ad arrivare immacolata al matrimonio.
A Petronio non interessa niente di tutto ciò. I protagonisti del suo romanzo sono infatti due omossessuali, Encolpio e Gitone, accompagnati da un vecchio libidinoso, Eumolpo, incorsi nelle ire del dio Priapo, pronto a privarli della loro virilità proprio nelle situazioni più stuzzicanti. Si susseguono scene memorabili tra cui il coinvolgimento nelle pratiche sessuali estreme di una cortigiana ninfomane, improbabili esorcismi per riconquistare il vitale vigore sessuale e la cena presso Trimalchione, un tipico nuovo ricco ignorante e vanesio che per stupire gli ospiti fa preparare le portate più inusuali e opulente. Ad ogni pagina troviamo un trionfo di sesso, cibo e vino goduti in piena libertà. Il ritratto poco lusinghiero che fa dei suoi tempi mostra da una parte l’amore per la vita e dall’altra la comprensione anche verso il lato oscuro della razza umana, che nei suoi vizi viene sottoposta ad una condanna più estetica che morale. Il problema per lui non è infrangere la morale, cosa che bene o male piacerebbe fare a tutti almeno per una volta nella vita… il problema è per lui il come lo si fa, e cioè con eleganza e senza remore, nella maniera più smaliziata possibile. Egli rappresenta perfettamente l’altra faccia della società neroniana: non quella stoica dell’élite intellettuale ma quella bassa dei mercanti arricchiti, del gusto per il grottesco e della sete di sangue dei gladiatori e dei cristiani. Dopo tanti secoli cosa è cambiato nell’uomo? Nulla, a quanto pare, perché nonostante nessuno ostenti più un esercito di schiavi deformi per “arredare” casa come faceva Nerone, molti si appassionano a guardare programmi televisivi in cui personaggi dello spettacolo si sbranano fra loro su un’isola deserta per una ciotola di riso.
A questo punto è lecito domandarci se i monaci amanuensi del Medioevo, che censurarono l’opera tagliandone le parti più scabrose (ritenute all’epoca “pornografiche”) sapevano che in questo modo non avrebbero riportato sulla retta via il genere umano votato per sua natura alla libertà dell’essere, nemico di ogni coercizione, irrimediabilmente affascinato dal proibito. E infine c’è da chiedersi: ai giorni nostri, che cosa può essere considerata pornografia? Le orge promiscue e non del Satyricon, descritte per altro in maniera sublime e innocente come solo un’opera d’arte degna di questo nome può fare, o i kleenex umidi delle “ carrambate” di Raffaella Carrà? Ai posteri l’ardua sentenza.

di Federica Lamona


Il piccolo principeQuesta non è la solita, iperspecialistica, bacchettona apologia del classico come tutti si aspetterebbero. Anzi Il Piccolo Principe di Antoine de  Saint- Exupéry, a parere di alcuni, non dovrebbe essere nemmeno citato in un contesto sedicente underground. Molto meglio sarebbe una bella recensione su qualche ignoto poeta russo, morto suicida in un gulag siberiano prima di terminare la sua opera sottoposta a chissà quale tipo di destrutturazione formale, rivoluzione del senso… bla bla. Per non  parlare dell’eminente tossicomane William Borroughs e delle vorticose descrizioni allucinate di sodomie varie, consumate in qualche bell’ambientino su una morbida moquette inacidita dal vomito di un cirrotico qualunque… sublime. Questo è quello che tutti si aspetterebbero da una rivista underground. Ma se ci riflettiamo bene, quando mai la cultura sotterranea si è preoccupata di soddisfare qualunque tipo di aspettativa? Non credo che Lou Reed, nello scrivere capolavori come Heroin o Venus in furs, si sia posto problemi del genere. Anzi, lo scopo delle culture sotterranee dovrebbe essere il ribaltamento, lo choc, la destabilizzazione della superficie; in pratica, la distruzione dell’’etichetta’ grigia, a vantaggio della multicolore diversità. Il Piccolo principe è un racconto che respira nuovamente, come ogni opera letteraria, nella rilettura che ne fa ogni tempo, ogni cultura, ogni essere umano. Anche il protagonista del libro, l’alieno bambino dai capelli colore del grano, sarebbe stanco di essere catalogato fra le storie per bambini, i classici o quant’altro: sarebbe semplicemente stanco di essere catalogato. Ed è proprio questo il bello dell’opera. Ritrovare la nostra verità, quella di ognuno, squarciando le categorizzazioni degli adulti. Gli incontri del piccolo principe e dell’aviatore, alter ego di tutti noi, sono visti dalla prospettiva di chi guarda per la prima volta il mondo senza sovrastrutture e condizionamenti, godendosi beatamente la condizione di semplice stupore davanti allo spettacolo della Vita. A questo punto saremmo pronti ad apprendere il valore dell’amore e dell’amicizia da una volpe parlante, la vanità di tutte le dipendenze dall’alcolizzato che si vergogna di bere, l’inutilità del potere da un re senza sudditi. Uno scarabocchio su un foglio diventa un boa che ha ingoiato un elefante e il recupero del lavorio della fantasia infantile ci permettere di capire che “l’essenziale è invisibile agli occhi”. La lettura ad ogni età delle vicende del piccolo protagonista potrebbe essere un valido punto di partenza per accettare la palpitante complessità, e allo stesso tempo elementarità, dell’ animo umano. Se davvero riuscissimo in questa ardua impresa… non perderemmo certo del tempo ad apporre etichette su ogni cosa e individuo come se fosse un barattolo di pelati, sullo scaffale di un centro commerciale.