di Daniele Epifanio e Luca Torzolini
Cosa significa per te a livello musicale comporre, ricercare e sperimentare?
Per me fare composizione non è nient’altro che un processo di decomposizione! (ride, ndr) Ricercare, sperimentare, riscoprire, e ovviamente studiare il passato…il nostro e quello degli altri. La ricerca è tutto, è il nostro ossigeno. La ricerca è anche svegliarsi la mattina e chiedersi cosa fare. La sperimentazione deve essere strettamente connessa alla nostra quotidianità: guai a dimenticarlo.
Due sono i modi principali di concepire la musica, quello interpretativo e quello compositivo. Qual è a tuo parere la reale differenza tra il compositore e l’interprete?
Ovviamente sono due mestieri completamente diversi, anche se con punti di contatto molto forti. Banalmente: il compositore scrive mettendo su carta ciò che ha in testa, l’interprete legge e ri-scrive. La difficoltà tecnica non si svela però come l’unico ostacolo: l’interprete cerca di risalire a ciò che il compositore ha pensato quando ha elaborato l’opera, riscoprendolo e riportandolo in vita. Come compositore, è come se dessi l’imprimatur e applicassi il mio cuore su carta. L’interprete invece applica il suo al mio. È un rapporto dialettico unico. Possiamo non vederci e non parlare, ma conoscerci, volerci bene o addirittura odiarci. È magia allo stato puro.
Dunque è più “umano” il lavoro dell’interprete, emotivamente parlando, di quello del compositore?
Sono abituato a gettarmi fango addosso, quindi ti dico di sì. Scherzi a parte, sicuramente un compositore rischia più facilmente di cadere in un processo creativo cervellotico: deve impegnarsi per far risuonare il brano nelle ossa di colui che lo dovrà eseguire e giocare d’astrazione purtroppo è un rischio che sta dietro l’angolo durante la fase di scrittura. L’esecuzione la considero un po’ come la prova del nove: ogni volta che scrivo un pezzo per qualche altro musicista e che lo sento eseguire, riesco a capire se quel che ho scritto ha senso o meno.
Se possedessi una macchina del tempo, non condizionato da circostanze storico-musicali, dove andresti e perché?
L’apocalisse è vicina: il futuro! (ride, ndr). Voglio capire come finiremo...giusto per sapere dove porta la strada. Tutto il resto - in un modo più o meno realistico - lo possiamo studiare, vedere, immaginare. Sì, la curiosità impellente riguarda certamente il futuro. Il nostro futuro.
Sappiamo che recentemente hai composto le musiche per uno spettacolo teatrale per bambini sul Piccolo Principe. Come recepiscono loro la musica a tuo parere?
È divertente perché lo spettacolo andato in scena non era affatto nato come uno spettacolo di teatro per bambini avendo contenuti molto forti: era una riscrittura del testo di Antoine de Saint Exupery con ampi respiri e diverse licenze contenutistiche. Avevo scritto per l’occasione delle musiche adatte ad un pubblico adulto, che ricalcavano l’impianto drammaturgico e registico. Non che esista “musica per bambini” o “musica per adulti”, ma sicuramente se avessi saputo che l’ascoltatore medio avrebbe avuto sette-otto anni mi sarei quantomeno contenuto, sotto certi aspetti; dall’altro lato, probabilmente, sarei stato troppo influenzato dalle circostanze? Chissà, forse sarebbe venuto fuori un esperimento musicale atroce e violento! Brrr… Il fatto di aver involontariamente considerato i bambini come adulti è stato senz’altro una carta vincente, nonostante le circostanze. Essi hanno l’incredibile qualità di riuscire a stupirsi con facilità, come se fossero carta bianca. Al contrario, per quasi tutti noi, lasciarsi stupire risulta difficilissimo… (silenzio, ndr) Le musiche dello show erano per clarinetto, pianoforte e contrabbasso e ho notato con stupore come l’ingresso dal niente di uno strumento con possibilità timbriche così particolari come il clarinetto folgorasse e illuminasse gli occhi di ciascun bambino presente in teatro.
Non ho mai amato particolarmente i bambini ma con stupore si sono potuti dimostrare più intelligenti e aperti rispetto a gran parte degli adulti ai quali abbia proposto la mia musica. Me incluso.
Alcuni pensatori hanno considerato la musica come la più elevata tra le forme d’arte perché non necessariamente collegata a particolari idee e concetti. Riusciamo a discernere la musica grottesca da quella rilassante identificandola in particolari suoni, tu che cosa ne pensi?
Adesso lo dico con fermezza, ma magari fra cinque minuti non lo dico più: la musica è il regno della soggettività e una delle sue più grandi qualità è quella di poter arrivare al destinatario slegata da orpelli. Sappiamo al contempo di essere però costruiti sopra un groviglio di convenzioni. Come nel mondo del cinema un esperto regista sa che attraverso determinate inquadrature e particolari giochi di luce è possibile ricreare specifiche sensazioni negli spettatori, anche un pianista saprà che una scala cromatica discendente porterebbe il pubblico a pensare, per esempio, al gatto Silvestro che ruzzola giù per le scale! Ma chi mi dice che oggettivamente siano immagini universalmente riconoscibili? La famosa colonna sonora de “Lo Squalo” fa necessariamente pensare all’animale killer? E perché non, slegata dall’immagine, ad un topolino che gira veloce per le strade in cerca del formaggio? È il caso dei bambini dei quali parlavamo poco fa: hanno un’immaginazione superiore alla nostra, sono come slegati da stereotipi e convenzioni. Loro si divertono sempre, noi siamo molto più marci. Attenzione: il pregio enorme della comunicazione musicale è la possibilità di lasciare più spazio all’immaginazione e all’interpretazione!
Qual è secondo te la differenza tra un suono ed un rumore?
Ma che domande! (ride, ndr) Il mio “Brusìo” è stato frutto di un anno di riflessioni del genere! Ne potremmo parlare fino a domani alle cinque. In una tournée di un mese ho affrontato proprio questo argomento interagendo con un’ora e un quarto di rumori, sia attraverso il pianoforte che fisicamente. Non credo ci sia particolare differenza fra un suono e un rumore. Pensa a “Experimentum Mundi” di Giorgio Battistell: è un pezzo per un ensemble di sedici lavoratori, dal falegname al fabbro, che agiscono coordinatamente! Creano musica. Capito, con classici oggetti da lavoro!
Cosa ti rende profondamente infelice?
Ora come ora? La mia sconfitta definitiva sarebbe sicuramente connessa al mio modo di rapportarmi alla musica. Il non riuscire a rispecchiarmi in quello che scrivo, e dunque in quello che vivo. Il giorno in cui sarà così, sarò pronto a gettare via carta e penna…ammesso che si possa fare. Sono profondamente infelice quando non riesco a scrivere ciò che voglio, ciò che sono. È specchio di un profondo problema che sta alla base.
Sono questi per caso momenti in cui la tua musica è più vera di te, più vera di quello che di te sai?
Sì, credo sia così. Sono le volte nelle quali non riesci a capire ciò che veramente sei. Quei momenti in cui, attraverso la musica, è come se spiassi una tua necessità di conoscerti, di riscoprirti.
Se vincessi oggi la lotteria e avessi un milione di euro in tasca, cosa faresti?
Prima la mia famiglia. Poi farei il panico: dopo avere insonorizzato casa per evitare continue discussioni coi vicini, prenderei in affitto i luoghi sacri della cultura romana e organizzerei festival, di qualità, veri, con tutta la gente vera che non può ma che è pronta a distruggere la mentalità culturale asfittica che regge questo paese e questa città: costruttivamente, partendo dalle fondamenta. Non facendo l’orrendo merchandising che pretende di rinnovare cambiando soltanto la facciata e il nome delle cose. Sarei sempre al fianco di tutte quelle persone che si ammazzano la vita dalla mattina alla sera inseguendo un sogno ma rimanendo fortemente attraccati alla terra. Al fianco di tutti quelli che in preda all’orrore hanno deciso di essere se stessi, non per alimentare folli processi creativo-masturbatori, ma perché davvero non possono fare altrimenti. Insomma, fatemela vincere sta lotteria, và! (ride, ndr)