di Giorgia Tribuiani
Regalaci uno tuo autoritratto: chi sei e da cosa nasce la tua passione per il fumetto?
Mi chiamo Alberto Dabrilli, ho 33 anni (vi ricorda qualcuno? Ahahah!) e, sebbene non sappia ancora che cosa farò da grande, di una cosa sono certo: da quando, a dodici anni, fui “folgorato” dal mio primo fumetto (Dylan Dog, La casa infestata), il mio obiettivo è diventare un autore di fumetti.
Da quel giorno gli anni sono trascorsi e le conoscenze aumentantate: ho incontrano capolavori, raffinato idee, avuto esperienze di ogni genere (mio Dio, quante poche donne!) e, dopo mille peripezie, sono arrivato ad oggi, con questa passione che mi accompagna da tutta la mia vita e con la quale vedo proprio pochi quattrini.
Quali sono i tuoi punti di riferimento riguardo al fumetto?
Sono davvero molti, ma mi soffermerò su quelli che hanno avuto una grossa influenza su tutto il mio percorso artistico.
Il primo fra tutti è Alberto Breccia (Buenos Aires), pilastro del fumetto, che ha saputo esprimere in tutta la sua carriera una versaltilità di stile e una genialità inconfondibili; l’influenza di lavori come Incubi, Dracula, I miti di Chtulhu, Mort Cinder, e Perramus è elevatissima (e anche quella del figlio, Enrique Breccia). Poi c’è il sognante veneziano Hugo Pratt con i suoi Scorpioni del deserto e Corto Maltese, autentico gioiello della letteratura mondiale; le sue opere sono intrise di cultura esoterica e riferimenti storici minuziosi e precisi. Infine, vorrei citare gli indimenticabili, sempre italiani, Sergio Toppi, Dino Battaglia, Alarico Gattia, Giovanni De Luca e Lorenzo Mattotti.
Preferisci seguire la tradizione del fumetto o sperimentare nuove tecniche illustrative? Miri a creare un tuo personalissimo genere?
Io credo che la sperimentazione sia alla base del progresso artistico di un autore, ma che non debba mai essere fine a se stessa: al contrario, dovrebbe concorrere a perfezionare uno stile fresco e capace di dar spazio all’ingegno.
Il genere che amo di piu è il noir, specie se intriso di motivi surrealistici, e spero che in futuro, considerando i molti progetti a cui sto lavorando in questo periodo, io possa svilupparlo con più determinazione.
Attualmente, i riferimenti artistici attraverso i quali la mia ricerca va avanti sono alcuni pittori russi dell’Ottocento dalla sensibilità pittorica e dalla capacità narrativa molto elevate. Tra questi, mi sembra doveroso citare Michail Aleksandrovic Vrubel’, Abram Efimovic Archipov, Léon Bakst, Nikolaj Nikolaevic (autore, quest’ultimo, capace di grande potere evocativo e di un uso sbalorditivo delle ombre).
Trovi che le riproduzioni cinematografiche di fumetti classici siano un buon modo per valorizzare questo tipo di arte o credi che ogni trasposizione debba considerarsi un “tradimento” dell’opera originaria?
Il fumetto è un’arte che racchiude in sé molti generi, dalla letteratura (ricordiamo capolavori come L’eternauta, sceneggiato da Héctor Oesterheld e disegnato da Francisco Solano Lopez, entrambi collocabili a buon merito tra i maestri della letteratura disegnata) alla pittura, passando per il cinema. Quest’ ultimo compare nel fumetto attraverso certe inquadrature e notevoli arricchimenti di particolari che caratterizzano personaggi e ambiente. È interessante poi notare come lo storyboard di un film possa essere realizzato da un disegnatore di fumetti che si occupa della scenografia e di quelle che diverranno le inquadrature cinematografiche.
Riguardo all’interazione tra cinema e fumetto vorrei citare il caso particolare di Viaggio a Tulum, lo straordinario fumetto sceneggiato da Federico Fellini e disegnato da Milo Manara che, destinato al mondo cinematografico, non fu però mai portato alle riprese.
Credo che la relazione tra cinema e fumetto sia molto stretta, ma che non sempre il potere evocativo delle due arti possa coincidere: nel caso di Viaggio a Tulum, forse, un film non avrebbe avuto la stessa qualità del fumetto; il primo Batman, caso eclatante di cinema-fumetto, rende onore a tutti i personaggi e gli ambienti, ma credo che film come Hulk siano, in fin dei conti, fozature.
In conclusione, ritengo che un film tratto da un fumetto non debba voler rendere le stesse emozioni di quest’ultimo: le due cose sono slegate dal piano del dinamismo e un abile regista sa come donare al pubblico un gioiello.
Parlaci del fumetto “I confinanti” e dei temi che hai trattato nell’opera.
Si tratta di una raccolta di tre storie brevi: La risalita, Olsuatta e Quarantotto barra c. Grazie a queste storie ho sperimentato le potenzialità del mio stile e ricevuto grande soddisfazione. Credo che I confinanti abbia segnato per il mio stile un punto di rottura: qui le mie idee e la libertà espressiva si sono potenziate e maturate e anche le storie sono inserite in un contesto più letterario e surreale, basti pensare a Olsuatta (nome proveniente da un sogno che ho fatto molto tempo fa), ambientata in un paesino dagli abitanti simili alle vecchie bambole con gli occhi sbarrati.
Il fumetto, autoprodotto, è stato presentato a “Lucca Comics & Games” (edizione 2009) in collaborazione col gruppo Fumectory.
Hai più volte affermato di credere che, per quanto riguarda l’innovazione, il fumetto sia molto vicino al rock. Spiegaci questa tua convinzione?
Se la musica, grande fonte di ispirazione, presenta un potere visionario ancestrale che accompagna l’uomo da sempre, lo stesso vale per la pittura, basti pensare alle Grotte di Lascaux. Una sera mi soffermai a osservare queste opere piene di fascino e, percependo con grande emozione i suoni e i rumori che probabilmente si udivano in quel periodo, compresi quanto fosse forte la relazione tra disegno e musica: fu allora che mi posi l’obiettivo di far percepire un suono per ogni segno, generando un rapporto sinestetico con l’ opera. La mia conoscenza della musica, che spazia dal rock all’ ambient passando per il jazz, mi fu poi di grande aiuto, perché compresi che alcuni musicisti facevano il processo inverso: mostrare immagini attraverso la musica.
D’altra parte credo che già molti autori siano riusciti ad esprimere questo rapporto, in particolar modo perché penso che tutte le arti siano collegate da un unico comune denominatore: i sensi. A questo proposito mi sembra d’obbligo citare György Sándor Ligeti, uno dei piu grandi compositori ungheresi del ventesimo secolo che, attraverso il brano Artikulation (ascoltabile anche tramite Youtube), ha saputo esprimere alla perfezione il rapporto tra segno e suono.
A proposito di musica, affermi che il fumetto “Il sassofonista” fu composto tramite l’ascolto di brani musicali e la trasposizione di questi in immagini. Raccontaci questa esperienza.
Il sassofonista è un’opera monumentale di 160 pagine, suddivisa in due capitoli: per ognuno di questi mi sono ispirato ai musicisti capostipiti di tre generi fondamentali: gli Hawkwind, Jon Hassell, e Throbbing Gristle.
Si è trattato di un’esperienza eccitante, stimolante dal punto di vista del rapporto tra segno e musicalità.
Il protagonista della storia è un sassofonista (si tratta di un tributo a Nick Tunnel) che improvvisamente viene catapultato in una dimensione dove la musica fa da padrona; qui incontra una strana figura simile ad un manichino completamente nero e un altro sassofonista di nome Gortn. Insieme vivono una strana avventura attraverso un paradiso e un inferno dove gli strumenti imperano.
In uno dei capitoli invento gli “strumentosauri”, giganteschi strumenti con il corpo di un dinosauro che simboleggiano le immense potenzialità di uno strumento musicale.
Il terzo capitolo è dedicato al sogno di un’arpa morta.e con questo finisce la storia.
Parlaci della tua collaborazione con Enrico Teodorani.
Un giorno Massimo Perissinotto (sceneggiatore e disegnatore di rilievo nel panorama artistico italiano) mi propose di realizzare quattro tavole di una storia di Calavera, personaggio creato da Tim Vigil e Teodorani. L’esperienza fu molto bella. Chissà che in futuro non ci siano altre novità dal fronte americano.
Ci dedichi un’anteprima dei tuoi progetti futuri?
Ora sto lavorando ad un progetto molto ambizioso che vedrà la luce a “Treviso Comics 2010” presso la casa editrice Cagliostro.
Inoltre sto realizzando un altro progetto con un’affermata scrittrice veneziana, ma a tal proposito preferisco non svelare ancora nulla.