Holy EYE

CERTIFIED

di Roberto Minotti e Paulina Szczepanczyk

la-maschera-del-narciso

[…] Qui il fanciullo, spossato dalle fatiche, attratto dalla fonte,

cerca di sedare la sete, ma un’altra sete gli cresce: mentre beve,

invaghitosi della forma che vede riflessa, spera in un amore che non ha corpo.

Ingenuo, che stai a cercar di afferrare un’immagine fugace?

Quello che brami non esiste, quello che ami, se ti volti, lo fai svanire.

“So che mi piace, so che lo vedo, ma se lo vedo e mi piace,

pure trovarlo non mi riesce: tanto l’amore mi confonde! […]

“Ma questo sono io! Quel che bramo l’ho in me: ricchezza che equivale a povertà.”

La morte buia chiuse quegli occhi che ancora ammiravano la forma del loro padrone.

Il corpo era scomparso. Al suo posto trovarono un fiore:

giallo nel mezzo, e tutt’intorno petali bianchi. Un narciso.

 

(Le metamorfosi di Ovidio, il mito di Narciso)

 

Il narciso è un fiore dalla potente simbologia. Il suo nome deriva dalla parola greca “narkao” che significa “stordisco” e fa riferimento all'odore penetrante di questo fiore. Il narciso contiene un alcaloide velenoso - la narcisina - che provoca, se ingerito accidentalmente, disturbi neuronali e gravi infiammazioni, che se non curati in breve tempo, portano alla morte. Si diffuse la leggenda che questi fiori avessero il potere di assorbire i pensieri negativi e malvagi degli esseri umani e per questo fossero diventati velenosi. Ed è spesso l’aggettivo velenoso che viene associato al narcisismo. Venire a contatto con questo tipo di personalità mette a dura prova la nostra capacità di essere empatici, ma la comprensione profonda di ciò che c’è realmente dietro la maschera di un essere umano profondamente vulnerabile, creata per proteggersi dal dolore, ci può aiutare a riconoscere la sua immagine vera e scoprire un approccio diverso con cui sia possibile relazionarsi con questo tipo di personalità.

In ambito psicologico, il termine “Narcisismo” viene utilizzato per la prima volta nel 1898 dall’americano Havelock Ellis (“narcissus-like”) per indicare l’atteggiamento del ripiegamento su se stessi della pulsione libidica. Nel 1909, Sigmund Freud utilizzò lo stesso termine riguardo all’assunzione della propria persona come oggetto d’amore, stadio tra l’autoerotismo infantile e l’amore oggettuale. Nel 1914, con “Introduzione al narcisismo”, Freud descrive il narcisismo come "la libido ritirata dal mondo esterno e indirizzata verso l’Io dando luogo così a quell’atteggiamento che può definirsi narcisismo". Fra i numerosi studiosi che si sono occupati del disturbo narcisistico e del loro trattamento, vorremmo descrivere i lavori di Heinz Kohut (1971) e Otto Kernberg (1984). Secondo Kohut, il Sé è “un contenuto dell’apparato mentale”, e non un’istanza psichica, ovvero “una struttura interna della psiche”. Gli oggetti investiti narcisisticamente al servizio del Sé e utilizzati per il mantenimento del suo investimento pulsionale o addirittura avvertiti come parti dello stesso Sé vengono definiti “oggetti-Sé”. L’aggressività nelle personalità narcisistiche sarebbe la conseguenza delle loro lesioni narcisistiche. Ciò può farci intuire quanta sofferenza è celata dietro a personalità di questo tipo, che sempre più vengono additate e classificate come “mostri” da molti articoli. Il Sé si sviluppa, dunque, nello scambio con le figure parentali, il metabolismo delle prime relazioni sociali del bambino. Esse non avrebbero la semplice funzione di fornire gratificazione pulsionale, ma di costituire la fonte di interazioni. A tal riguardo si ricorderà il contributo di Wifred Bion che sottolinea il ruolo della rêverie materna, grazie alla quale il bambino trasforma gli elementi beta in alfa, costituendo la barriera di contatto che renderà possibile il pensiero. Nella metapsicologia relativa al paziente narcisista, egli colloca tale disturbo nello spazio fra la psicosi e la condizione borderline e, in situazioni di minore gravità, fra le psiconevrosi. La separazione da questo “oggetto-Sé” arcaico e rudimentale e idealizzato, fa sentire il paziente vuoto e impotente, tanto è importante per il paziente utilizzarlo a compensazione e complemento di un segmento mancante della propria struttura psichica, legato alla carenza di sufficienti apporti libidici da parte di “oggetti-Sé” primitivi. Il fallimento della funzione empatica materna, i disturbi del processo primitivo di idealizzazione, con susseguenti effetti traumatici (la ferita narcisista), sono alla base della psicopatologia narcisistica, che comporta originariamente una fissazione al livello del Sé grandioso arcaico e infantile, cui fa seguito la ricerca interminabile dell’”oggetto-Sé” idealizzato, che al soggetto risulterebbe necessario per completare il suo sviluppo psichico. In questa periodo si colloca lo sviluppo del “Sé bipolare”. Kohut indica con questa espressione la possibile articolazione del Sé in due polarità:

Ci dice Ovidio che Narciso, pur desiderato da tutti, non si percepisce tale, ed è così fragile che spinto dall’ansia se ne va da casa alla ricerca di se stesso. Incontra Eco, e respingendola, si potrebbe pensare che Narciso abbia respinto la propria voce, ovvero la parte che esprime l’essere interiore e profondo opposto all’essere superficiale: un’immagine fugace. Il narcisista non si innamora di cose reali, di oggetti che stanno fuori di sé, ma di sue proiezioni. Ama negli altri quello che non riconosce in se stesso. Gli altri non sono che proiezioni di sé che inevitabilmente deludono e tradiscono. Il narcisista diventa una persona condannata a cercare e ripetere continuamente il suo dolore.

Il modello interno del narcisista si costruisce fondamentalmente intorno alle ferite infantili causate da emozioni come la paura e la vergogna vissute, soprattutto, nel rapporto con la madre. Infatti, l’origine di questo comportamento, sta nell’infanzia, come reazione a situazioni di forte dolore e umiliazione vissute precocemente, dove impariamo a creare un equilibrio emotivo sia con noi stessi che con altro. Spesso sono stati riscontrati dei tratti comuni nei genitori di figli con problematiche narcisistiche: il genitore non è in grado di fornire empatia e accudisce il figlio solo nei bisogni pratici. Questo bambino interiorizza il disagio del genitore di fronte all’intimità e al contatto emotivo e percepisce la distanza come l’unica modalità che sente efficace per relazionarsi con l’altro. Il desiderio di ammirazione tipico del bambino, nasce dalla necessità di essere riconosciuto come “unico e separato dagli altri”, per farlo sentire importante e quindi per costruire una identità solida, ma quando questo bisogno di riconoscimento è contrastato, il bambino sviluppa una bassa autostima.

La reazione a questo tipo di contesto può portare a sviluppare una personalità narcisistica, che gonfia il proprio ego per compensare la propria mancanza di autostima e di sicurezza. Infatti il narcisista cerca l’approvazione e l’ammirazione che non ha avuto, compensando con la costruzione di un perfetto se stesso. La sua caratteristica più comune è quella di ricoprire ruoli di potere nei diversi ambiti della sua vita: lavoro, amicizia e affetti. Per avere questo potere il narcisista utilizza le sue capacità seduttive e manipolatorie: questo meccanismo viene appreso nell’infanzia, dove essendo coinvolto nei giochi di potere familiari, impara presto come utilizzare a proprio vantaggio il suo ruolo, maturando gradualmente in seguito una forte autostima.

Dietro questi comportamenti manipolatori, c’è una maschera sofferente: un nucleo fragile e bisognoso di affetto, che vuole essere rassicurato nella sua capacità di amare. Per queste persone un amore devoto e paziente, discreto e attento potrebbe essere l’unica modalità per arrivare a contattare il loro nucleo affettivo più autentico; la solidità di un carattere che non si mostri scosso dagli atteggiamenti a volte altamente scostanti del narcisista, avrebbe la capacità di accogliere le oscillazioni emotive originate dall’instabile immagine di sé.

Proprio per tale ragione, la finalità del trattamento psicoanalitico per Kohut è quella della formazione di un Sé più coeso al posto di un Sé debole o frammentato. Il lavoro terapeutico si basa, quindi, sull’aggregazione del Sé, che comporta, attraverso un processo che conduce alla consapevolezza, l’evoluzione dei livelli più bassi del stesso Sé. Ciò avviene attraverso l’ascolto empatico in grado di contenere la struttura fragile del Sé risultante dalla diminuzione progressiva dell’autostima. Tale atteggiamento possiede funzioni riparative, ottenute soprattutto dalla disposizione empatica del terapeuta ad accogliere dentro di sé il vissuto emozionale del suo paziente.

Per Otto Kernberg “lo sviluppo del narcisismo normale e patologico” coinvolgerebbe costantemente “il rapporto fra le rappresentazioni del Sé e dell’oggetto e gli oggetti esterni, oltre che conflitti istintuali che investono sia la libido sia l’aggressività”. Secondo questo autore il Sé grandioso del Narcisista contiene “il Sé reale, il Sé ideale e le rappresentazioni oggettuali ideali”. Kernberg gli aspetti narcisistici non possono essere tenuti distinti da quelli “della libido, dell’aggressività e delle relazioni oggettuali interiorizzate”. La negazione, o meglio il diniego che il “Narcisista” compie è ben diverso da quello attuata dallo psicotico. Il narcisista, infatti, nega le differenze fra il Sé e l’oggetto e non la loro separazione, mentre lo psicotico nega la differenziazione fra il Sé e l’oggetto, che le considera fuse tra loro. Un certo grado di separatezza tra il Sé e l’oggetto è, quindi, ammesso dal “Narcisista”. Il Sé grandioso è di difficile accesso al trattamento ed è solitamente portatore anche di un’istanza super-egoica sadica e primitiva. Questo tipo di personalità narcisistica è quella costituita, appunto, da un Sé grandioso patologico. Si osservano in questi pazienti i segni di un senso di elevata autostima, che contrasta con isolati sentimenti di estrema inferiorità, scarsa empatia verso gli altri, bisognosi di continue conferme del proprio valore, mostrando un senso di consapevolezza integrato nella loro esperienza di Sé, ma di deficitarie modalità relazionali. Tutti possediamo un sano narcisismo, che è adattivo, flessibile e aiuta il nostro funzionamento psichico. Il narcisista gioca a scacchi con la vita, e ha nascosto nel profondo di se stesso la parte più autentica dell’affettività vera. Così l’Io sofferente è obbligato ad escogitare sistemi di difesa che gli permettono di resistere, ma che successivamente potrebbero ucciderlo. L’utilizzo di meccanismi di difesa primitivi come la scissione, il diniego, l'identificazione proiettiva e l'idealizzazione, e di altri tratti di personalità, rende questo tipo di narcisista simile alla personalità borderline; la grande differenza osservabile tra i due disturbi è relativa al dal Sé grandioso del narcisista, che contiene ed evita la frammentazione dell'Io, problematica presente nelle personalità borderline.

Gli aspetti clinicamente più gravi del narcisismo patologico comportano inevitabilmente contatti con altre strutturazioni patologiche (scissione di tipo schizoide) e con elementi borderline e paranoidi nella costituzione della personalità.

Il mancato controllo degli impulsi e la tendenza agli acting-out, con lo sviluppo di tratti paranoidi, formano e amplificano i sentimenti di invidia distruttiva e di angoscia persecutoria nelle relazioni con gli altri. Questo tipo di narcisista viene descritto come Narcisismo maligno, in cui si osservano la comparsa di una regressione paranoide, di sentimenti di grandiosità maligna e la possibilità di comportamenti autodistruttivi o di suicidio. Le descrizioni dei pazienti narcisisti presentati da Kernberg e Kohut possono essere concettualizzate collocandole come due polarità su di un continuum basato sugli stili relazionali interpersonali. I due estremi di questo continuum sono indicati con i termini di “narcisista inconsapevole” e “narcisista ipervigile” (Gabbard, 1989) e di seguito descritti:

il narcisista inconsapevole

 

Il narcisista ipervigile

I narcisisti inconsapevoli sembrano non aver alcun tipo di consapevolezza del loro effetto sugli altri. Parlano come se si rivolgessero a un vasto pubblico, stabilendo raramente un contatto visivo. Sono insensibili ai bisogni delle altre persone, fino al punto di non permettere una conversazione normale attraverso il dialogo. Mostrano un evidente bisogno di essere al centro dell’attenzione, e i loro discorsi sono ricchi di riferimento ai loro successi. Gli altri non sono visti come persone con la loro storia personale ed emozioni, ma come attori per la loro rappresentazione. Sono inconsapevoli del fatto di essere spesso noiosi e monotoni.

Su questo versante, ma con un quadro psicopatologico più grave e un’emotività più intensa si trova il Narcisista maligno. Questi pazienti sono incapaci di dipendere affettivamente dagli altri e sono caratterizzati dall’invidia, dal disprezzo, dalla tendenza a danneggiare tutto ciò che di buono possa giungere dagli altri. Lo sfruttamento interpersonale è utilizzato come nutrimento e rafforzamento della propria autostima. L’idealizzazione di coloro che rispondono al loro bisogno di riconoscimento, è seguita subito dopo dal disprezzo. Il Sé grandioso patologico è pervaso di aggressività primitiva (poiché è fallito il tentativo di tenere lontane dal Sé le pulsioni aggressive e minacciose). La grandiosità e l’auto-idealizzazione sono rafforzate dal senso di trionfo sulla paura e sul dolore; affermazione ottenuta esercitando paura e dolore agli altri (comportamenti sadici). Il paziente nega i normali bisogni di accudimento attraverso una pseudo-autosufficienza e l’organizzazione di personalità di questo tipo di narcisista e borderline “bassa”.

Pur comprendendo la necessità di identificare tale disturbo con un termine, ci permettiamo di dissentire in qualche modo dalla descrizione attribuita a queste persone con l’appellativo di “maligno”; se, come descritto precedentemente, il disturbo ha origine nell’infanzia e la maschera che si è gradualmente formata deriva da un dolore e dall’ insieme di svalutazioni in ambito familiare, quanto ha dovuto patire e subire una persona con queste caratteristiche patologiche così gravi?

Gli individui con aspetti narcisisti del tipo ipervigile sono estremamente sensibili al modo in cui gli altri reagiscono nei loro confronti. La loro attenzione è quindi costantemente diretta verso gli altri. Come il paziente paranoide, ascoltano gli altri attentamente alla ricerca della pur minima reazione critica e di continuo. Questi pazienti sono timidi e inibiti al punto di ritirarsi o defilarsi. Evitano di mettersi in luce perché hanno la forte convinzione che potranno subire un rifiutato e un’umiliazione.

C’è una forte ambivalenza tra il profondo senso di vergogna connesso al desiderio di esibirsi con modalità grandiose. La vergogna, infatti, è pervasiva e sostiene il processo di auto-svalutazione per il quale la persona si sente inadeguata rispetto ad un modello ideale. Per la terapia della Gestalt, ad esempio, essa fa da sfondo alla sensazione di essere intrinsecamente incompleti, inadeguati e svolgono un ruolo centrale i sentimenti di umiliazione e di dolore che derivano dal confronto con i limiti delle proprie capacità o dal riconoscimento dei bisogni e dei desideri insoddisfatti. Le difese e le modalità di contatto (retroflessione e proiezione) sono dirette a evitare la consapevolezza dei sentimenti associati a queste esperienze. Se il narcisista ipervigile tenta di mantenere la stima di sé evitando le situazioni di potenziale vulnerabilità (retroflessione) e osservando attentamente gli altri per “apparire” come si deve, il narcisista inconsapevole tenta di impressionare gli altri con le sue qualità per proteggersi da un’eventuale ferita narcisistica eludendo le loro risposte.

Nella società postmoderna, in cui l’isolamento, la dipendenza affettiva, lo sfruttamento interpersonale e il consumismo relazionale sono divenuti dei valori stabili nella convivenza tra gli individui, evidenziati da comportamenti sempre più stereotipati e violenti, la maschera sofferente del narciso ha trovato “maschere” forse più sofferenti della sua nelle quali “specchiarsi”, ferite più profonde e dolori ancora più indicibili con i quali confrontarsi. Osservando tutto questo dolore, ci viene da chiederci: che senso ha questo progresso, tutta questa scienza se la ricerca del benessere molto spesso produce soltanto malessere e, a volte, un’angoscia più grande di quella che tenta di curare?

Nel mito, Narciso “se ne va da casa alla ricerca di se stesso”: è questo il vissuto che dovremmo comunque ricordare quando incontreremo nella nostra vita un Narciso: egli sta cercando se stesso.