Holy EYE

CERTIFIED

Il corso è stato pensato per coloro che, pur possedendo un apparecchio fotografico digitale, continuano ad avere incertezze sul suo utilizzo, ovvero non sono soddisfatti dei risultati ottenuti. Poiché la realizzazione di buone immagini presuppone nozioni tecniche chiare, ma anche una paziente educazione dell’occhio, il corso procederà, attraverso incontri bisettimanali, allo studio del funzionamento delle moderne macchine fotografiche e, contemporaneamente, percorrerà, con l’aiuto di materiali audiovisivi, e in maniera semplice ed esauriente, la strada dei grandi esempi dell’arte pittorica e fotografica. Si intende così valorizzare questi incontri non solo come lezioni tecniche, ma anche come momenti di crescita culturale.
Tra gli argomenti: principi di fotografia, apparecchio fotografico, messa a fuoco, tempi, diaframmi, uso delle ottiche; inquadratura, uso della luce ambiente, uso del flash; ritratto, paesaggio, reportage; correzione dei comuni difetti, uso corretto di una stampante, correzione del colore, breve storia della fotografia d’arte, tendenze fotografiche moderne.
Sarà possibile organizzare anche eventuali uscite domenicali per la messa in pratica sul campo di quanto appreso; parte del tempo sarà infine dedicata al commento e alla critica tecnica delle foto dei partecipanti.

Durata del corso: 14 incontri il martedì e giovedì, dalle 18 alle 20, a partire da giovedì 23 febbraio 2012

Luogo dove si svolge il corso: Sala multimediale della Parrocchia di S. Maria delle Grazie, Via della Bufalotta 674- Roma,

Costo di partecipazione: € 95,00.

INFO: 329-0632554 mail: culturadellafotografia@gmail.com

Ruggero Passeri è nato e vive a Roma. Ha iniziato ad interessarsi di fotografia alla fine degli anni sessanta, come autodidatta. Ha esposto le sue prime opere nel 1983 alla Galleria Il Fotogramma di Roma. Ha presentato da allora diverse mostre personali in Italia.
Nell’agosto 2008 ha esposto una sua serie di 40 ritratti di artisti e intellettuali italiani al Museo Comunale di Arte Moderna e dell’Informazione di Senigallia, raccolta poi acquisita nella collezione del Museo, che vanta, tra l’altro, opere di Mario Giacomelli e dei fotografi senigalliesi del Gruppo Misa. Passeri ha pubblicato sue foto e articoli su vari quotidiani, periodici e riviste specializzate.
Dal 2009 collabora al progetto dell’Osservatorio della Fotografia della Provincia di Roma, per il quale è responsabile del laboratorio di fotografia e stampa digitale. Viaggiatore appassionato, ha realizzato negli ultimi anni reportages fotografici in Arabia Saudita, in India e in Cina.
Nel 2010 è stato premiato con la Targa Città di Senigallia per il suo reportage sugli artisti italiani contemporanei.
Nel mese di settembre 2011 si è svolta la sua mostra “Kaputmundi” all’Istituto Italiano di Cultura a Vienna. La mostra è attualmente in svolgimento a Salisburgo, presso la Società Dante Alighieri.
Da diversi anni Passeri utilizza esclusivamente fotocamere digitali, anche per il bianco e nero, che costituisce il nucleo principale del suo lavoro.

di Luca Torzolini

Quando la terra tremaC'ero. Anche stavolta. Dopo l'alluvione, il terremoto.
Alle 3:32 è cominciato l'incubo. Intensità: 5,8 gradi della scala Richter. Epicentro: Paganica. I muri aperti e le crepe sulle scale della mia abitazione non erano nulla. Fuori, sulla strada, potevi vedere l'inferno. Dei ragazzi urlavano sotto le macerie, sepolti da quintali di polvere e cemento; qualcuno si è buttato dal primo e dal secondo piano e ha riportato sicuramente meno danni. Ho chiamato tutti gli amici più stretti: quando rispondevano la gioia per la loro incolumità era in ossimoro con le grida che sentivo come sottofondo. Un'ora dopo la scossa sono arrivati i soccorsi. Incitati dai civili hanno fatto tutto quello che era nelle loro possibilità. La mattina dopo 25000 persone si trovavano senza casa, senza vestiti. Circa 300 morti e 1500 feriti.
È passato poco tempo da allora, i comuni limitrofi hanno accolto nelle strutture alberghiere molte persone; lo stato ha fatto promesse e ha promosso donazioni e ogni forma di aiuto.
Quando caleranno i riflettori, quando la stampa e i media non ne parleranno più, allora ci sarà davvero bisogno di aiuto. La necessità di dare quel che si può, di privarsene per donarlo, è un dovere civile dettato da un istinto umanistico. Fra poco scorderanno la tragedia come è successo per l'Irpinia. Noi non abbiamo solo scritto l'articolo, stiamo facendo tutto quello che possiamo per registrare l'evento e aiutare come possiamo i terremotati. Molti dimenticheranno l'accaduto, molti la smetteranno con il becero buonismo in cui le parole non coincidono con i fatti. Voi che farete?

Sono solo. Sto leggendo La nausea all’Edelweiss, una birreria di Alba Adriatica; sono le due di notte. Ogni tanto prendo appunti, annoto i pensieri che affiorano alla mente. Una pizza e una birra cercano di unirsi alla compagnia. Denis, uno dei proprietari del locale, si avvicina e mi dice: “Che cosa stai facendo? Hai un forte spirito di abnegazione, lo sai?!”. Sa che sono uno scrittore, per questo il giorno dopo mi accompagna a Nereto con l’intento di presentarmi una persona che ha l’arte a cuore quanto me: Francesco Perilli, pittore e scultore, fondatore di una corrente artistica chiamata Neutral-ism.
Lo troviamo nel suo studio, profondamente impegnato nella realizzazione dell’ennesima opera. Sta aspirando un sigaro toscano come fosse una Philip Morris. Parliamo, vengo a conoscenza della mostra che sta tenendo a Los Angeles e dei monumenti da lui firmati nei cinque angoli del globo. Decido di intervistarlo per contribuire alla diffusione della sua maestria. Torno quindi il giorno dopo, accompagnato da Stefano Tassoni, collaboratore della rivista.

So che hai conosciuto Federico Zeri, uno dei più grandi storici dell’arte. Che rapporto hai avuto con lui?
Il rapporto con Federico Zeri è stato un rapporto esclusivamente intellettuale: per intenderci, si parla di un rapporto che ci può essere tra un massimo storico e critico d’arte  ed un pittore-scultore di provincia quale io sono. Era molto interessato al mio lavoro ed al mio pensiero: per questo mi incoraggiava molto a proseguire attraverso l’autorevolezza del suo prestigio. Mi ha ospitato spesso nella sua villa di Mentana per osservare da vicino i miei lavori e si intratteneva con me in lunghissime conversazioni. Fu lui a presentarmi a gallerie italiane di prestigio e una volta mi scrisse che per me prevedeva successi nazionali ed internazionali; ne fui lusingato.

Francesco Perilli e il Neutralismo 2Perché hai deciso di chiamare la tua corrente artistica “Neutral-ism”?
La mia più recente produzione artistica che ho definito Neutral-ism vuole essere una nuova avanguardia artistica, critica e propositiva, nel panorama dell’arte contemporanea. Essa è sostenitrice di un pensiero neoumanistico, che in forme diverse è appartenente ad ogni diversità culturale e perciò neutralista.

Come opera il neutralismo nel campo delle arti figurative? Cosa rappresenta l’opera neutralista?
Non parlerei di arti figurative, piuttosto di espressioni artistiche degli individui. Il problema è piuttosto stabilire cosa è un’espressione artistica e cosa non lo sarà mai. L’opera neutralista è un’icona universale che pone in dialogo la natura e la materia con la ragione e la spiritualità. Vi si cela il germe del neoumanesimo  sospeso tra opera e spettatore in attesa di un soffio vitale, al fine di riavviare alla vita un’arte diretta e calligrafa tendente a coniugare istinto e ragione insieme, a rappresentare le emozioni e i sentimenti nella loro autentica nudità, a stimolare nuove interrogazioni filosofiche sull’essere e sul divenire, per tentare di arginare la ormai incancrenita deriva dell’arte e del pensiero contemporaneo.

Cosa intendi per passato compresente al futuro? Intendi forse i famosi “Corsi e ricorsi storici” di vichiana memoria?
Assolutamente no. Credo che il pensiero neutralista sia ben più profondo della banalizzazione vichiana dei corsi e ricorsi storici. L’azzeramento del tempo e dello spazio, delle funzioni e proiezioni direzionali dei reperti di ogni forma di vita, di graffi, di intelligenze o di cose fossilizzate e contenute nell’icona neutralista, vive una stagione nuova. Questa forma espressiva ha l’ambizione di porre l’artista-archeologo al di sopra delle parti pur conservando tutte le caratteristiche della propria appartenenza cultural-spirituale; Il neutralista si pone quale osservatore, pensatore e rappresentatore imparziale dell’esistito, dell’esistente e dell’”esistibile”(sic), divenendo esecutore “poliespressivo”(sic) e diretto delle proprie emozioni, pensieri e sensazioni, siano essi materiali o spirituali; ogni neutralista deve operare e pensare con obiettività e partecipazione emotiva, esso si esprime in maniera diretta e calligrafa in equilibrio tra il conscio e l’inconscio, immerso nelle riflessioni di complessità universalistiche e nelle profondità  dei misteri  e degli enigmi dell’esistere e del divenire. Egli opera e pensa in equilibrio tra il principio e la fine dei tempi: ispirato dalle mille e sacrosante diversità culturali viene  illuminato dalle infinite e diversificate costellazioni dense di fiammelle spirituali.

Francesco Perilli e il Neutralismo 3Perché concepisci come non artistico lo spiccato senso di comunicazione di cui necessita la Pop Art?
La Pop Art è, secondo il mio modo di vedere, una grossolana congettura di intendere un’arte popolare rappresentativa della realtà vissuta nella società consumistica. A mio avviso tale equivoco artistico è basato sulla comunicazione di massa  posta quale fondamento logico: una banalità concettuale ed una mostruosità riflessiva del tutto finta e programmata, l’assorbimento e dissolvimento dell’immagine nella psicologia di massa. Pur considerando l’aspetto interessante di una forma di comunicazione diversa da quella artistica, va a mio avviso respinto ed espulso il magmatico contingente della pop art dalla grande famiglia della vera arte. Per arte s’intende l’abilità dell’autore a trasferire le proprie emozioni, i propri pensieri plasmando, graffiando e dipingendo la materia in maniera diretta e cesellata attraverso la sapienza del fare. Nulla di tutto ciò viene inquadrato nella Pop Art. Chiunque abbia uno spiccato senso di comunicazione può eseguire un’opera pop: le tecniche sono alla portata di tutti e l’abilità e il talento sono  inesistenti. Manca la parte emozionale ed umanistica dell’autore.

Francesco Perilli e il NeutralismoQual è il motivo della tua idiosincrasia nei confronti dell’arte concettuale?
A questa domanda si può proseguire come per la precedente riferita alla Pop Art. Il concetto presuppone un ragionamento che raffredda l’emozione congelando la parte istintuale ed umanistica. In questo processo  che conduce dall’intuizione al concetto, la ragione funge da anestetico e crea il vuoto tra l’umano ed il concettuale disumanizzante. Il pensiero neo-umanistico, invece, dà forma all’informe e logica alla casualità. Istinto e ragione in concerto, l’abilità e il talento dell’autore rendono concreta  attraverso la propria azione diretta e senza filtri la realizzazione magica di un’autentica opera d’arte.

Spiegaci l’accezione di “protesi tecniche” che usi quando alludi agli artisti moderni.
La protesi in arte è la barriera tecnica che in fase di realizzazione di un’opera d’arte si frappone tra l’opera e la componente istintuale, emotiva e sensibile dell’autore. In buona sostanza più la barriera tecnica tende ad isolare l’autore dall’opera in senso fisico e dalla sensibilità nel processo di realizzazione di un’opera, meno quel risultato potrà considerarsi un’opera d’ arte autentica.

Parli spesso di “morte dell’arte”, ma cosa intendi? Quella che definisci morte non potrebbe essere semplicemente evoluzione o variabile necessaria?
In una mia precedente intervista presi a prestito le considerazioni catastrofiste di Hegel per ricalcare la drammaticità e il totale disorientamento e stato confusionale vissuto oggi dal mondo dell’arte e del pensiero contemporaneo.Non esiste nessuna necessità di variabile nell’arte, poiché essa è congenita alla creazione, mentre l’evoluzione è importante………………. ma è poi tale?

 

Gay Pride 5A volte New York City sembra essere davvero un unico grande giardino ricco di segreti. Non tanto per i numerosi parchi pubblici, né per il verde che, alzando lo sguardo al cielo, è possibile notare tra i vetri trasparenti degli edifici. Mi riferisco piuttosto agli eventi che la città propone, come le parate domenicali che oramai sono diventate tra gli appuntamenti più cool in assoluto dell’estate newyorkese. La Fifth Avenue, la via elegante dello shopping, ogni domenica si trasforma in un lungo palcoscenico, dalla cinquantanovesima strada, all’altezza dell’ingresso a Central Park, fino ai quartieri di Downtown. Ed è lì che ogni domenica la città assorbe suoni, colori e lingue diverse. La parata più conosciuta è tradizionalmente quella LGBT, che quest’anno ha festeggiato il trentanovesimo anniversario. Re-volver era presente all’evento.

29 Giugno.
Ci sono giorni d’estate in cui New York è meglio evitarla. Il caldo secco e l’umidità creano quella sensazione di appiccicoso a cui nemmeno una bella doccia fredda può porre rimedio. La domenica del 29 Giugno scorso è stata una di quelle giornate. Nonostante la quasi totale assenza di smog, a spalleggiare le alte temperature c’erano gli odori di frittura dei carretti agli angoli delle strade, il sudore delle migliaia di persone ammassate come nei mercati del pesce di Chinatown e la presenza costante di grattacieli da togliertiGay Pride il respiro solo a guardarli. In occasioni simili viene spontaneo pensare ai soffici venti estivi delle montagne appenniniche o alle azzurre acque tropicali.

Prima dell’esperienza newyorkese non avevo mai partecipato ad un raduno LGBT, ma anche poche settimane nella città che non dorme mai bastano a chiunque per capire che un evento simile lì deve avere un fascino del tutto particolare. Unico. Magico. Basta anche solo camminare di pomeriggio per le strade di Chelsea o del West Village, in un qualsiasi giorno lavorativo, per rendersi conto che New York è una città multiforme, dalle mille facce e da altrettanti misteri. La “comunità” omosessuale copre una grossa fetta della popolazione nella Downtown. Ma poi ci sono anche gli alternativi dell’East Village, molto più rockettari e di cui a volte si fa davvero fatica a capire l’orientamento sessuale. E infine c’è Brooklyn, con i suoi quartieri a ridosso dell’Hudson, come Dumbo e Williamsburg, un tempo zone di magazzini fatiscenti, oggi sempre più invasi da giovani artisti, alternativi e omosessuali per via degli affitti troppo alti di Manhattan.
Il punto migliore per osservare la sfilata dei carri è all’altezza della quattordicesima strada, la zona universitaria per intenderci. Ma il Gay Pride non è come il carnevale di Rio, sia ben chiaro. Dimenticate tette e culi al vento o scene di dubbio gusto. A sfilare non manca nessuno, dagli omosessuali ai transessuali, ma tutti al loro posto, ordinati come una qualsiasi processione del Venerdì Santo. Ci sono i ragazzi delle Università, ma anche le forze dell’ordine, i pompieri, gli atleti, i musicisti di Harlem, i piloti e le hostess delle compagnie aeree, i vecchietti dei circoli ricreativi, le spogliarelliste e i palestrati: un fiume di gente che per oltre cinque ore non finisce di sorprendere, anche lo spettatore più libertino.
Nel pomeriggio, poi, la pioggia è venuta giù a secchiate, ma non hanno smesso di sfilare. Anzi, sotto l’acqua sembrano tutti ancora più divertiti. Insomma, un evento unico ed indimenticabile a cui le parole servono poco. E allora spazio alle immagini...