Paola Barbato è una donna tosta. Una donna che ama l'horror, il thriller, lo splatter, una donna che non si tira indietro se si deve parlare di sangue, budella e mistero. È stata scelta per sceneggiare numerosi albi di Dylan Dog, è una scrittrice per la Rizzoli, con due libri già pubblicati, Bilico e Mani Nude, più uno in fase di ultimazione. Ha, infine, co-sceneggiato una fiction trasmessa da Sky, Nel Nome del Male. Dopo questa sequela di lavori e meriti, penso che per lei si possa tranquillamente dire: è una donna con le palle.
Paola, iniziamo dal principio. Come è iniziata la tua carriera? Hai proposto anche tu, come decine di aspiranti sceneggiatori, le tue storie alla Sergio Bonelli Editore?
No, io ho scritto una raccolta di racconti (tutt'ora inedita) che -causa mancanza di liquidità- ho consegnato a mano a una ventina di case editrici con sede a Milano (tutte, per la cronaca, l'hanno respinta, e tutte con la stessa lettera e le stesse motivazioni). Mi è rimasto un dattiloscritto in più e, veramente per caso, ho deciso di lasciarlo alla Bonelli sperando che acquistassero un racconto per farne un soggetto per Dylan Dog (che leggevo). Invece mi hanno richiamata 6 mesi dopo proponendomi di provare a sceneggiare.
Quando una persona scrive per sé, sembra tutto bello o almeno godibile. Quando il materiale però, deve andare in stampa e poi venduto, i timori si moltiplicano, quali erano le tue paure iniziali? Temevi il confronto col pubblico?
Le paure io non le ho mai mentre scrivo, se quando scrivi cominci a pensare al pubblico e a cosa ipoteticamente vorrebbe, sei fregata. Dopo subentra quella sensazione da "les jeux sont fait", e quindi attendo con una giusta dose di rassegnazione l'esito finale. Il terrore mi ha presa solo una volta: due giorni prima dell'uscita de "Il numero duecento". Solo in quel momento mi sono resa conto del fatto che avevo preso il posto di Sclavi nello scrivere un numero celebrativo, e che il confronto mi avrebbe distrutta. L'ho chiamato in lacrime.
Le prime volte è stato difficile dare un “volto” a Dylan Dog? Attribuirgli delle caratteristiche che tu ritenevi appartenergli senza però deformarlo agli occhi del lettore. In sintesi, il processo di caratterizzazione del personaggio com’è avvenuto?
Non è avvenuto. Io ero lettrice, lo sono stata praticamente dai primi numeri, quindi avevo già una visione di Dylan, non ho dovuto adattarlo a me. Non gli facevo fare le cose che non mi piacevano e premevo invece sugli aspetti che trovavo più interessanti. Ma il "mio" Dylan era già ben solido nella mia testa.
Com'è il tuo rapporto con Dylan Dog, ti sei mai fermata davanti al foglio a pensare “dimmi tu cosa voi fare”?
Glielo chiedo sempre, ma solo perché a volte mi scapperebbe di fargli fare quello che farei io. E io non sono lui, cosa che non va MAI dimenticata.
Sei prima scrittrice o prima fumettista? Non dirmi che entrambe le definizioni sono calzanti o combacianti, non vale! La differenza sappiamo che c'è.
Prima scrittrice. Ho scritto per anni prima di diventare sceneggiatrice, e ho scritto anche MENTRE facevo la sceneggiatrice. Scrivere è il mio canale favorito di comunicazione da sempre.
Bilico ha ricevuto giudizi molto contrastanti, soprattutto per delle immagini molto crude, che ad una prima lettura ci si domanda come possa una donna, dolce e delicata come quella delle foto, pensare e immaginare scene del genere. Io che ho lo stomaco duro, ammetto di averlo pensato. E ora che ne ho la possibilità ti chiedo: come fa a pensarle una donna così dolce e delicata?
C'è un vizio di fondo. Io rifiuto l'immagine da te usata di "donna con le palle". Benché figurativa, a che mi servono le palle? Perché solo gli uomini possono essere forti? Vengano in sala parto e poi ne riparliamo. Mi sento certo più "persona" che "donna", non scrivo in virtù delle mie ovaie. Quindi è semplice: le persone con una fantasia marcata fanno sogni bellissimi e hanno incubi bellissimi. Se il fidanzato ritarda, lo immaginano maciullato tra le lamiere di un'auto in un terribile incidente; se immaginano di trovarlo a letto con un'altra, pensano di coprirla di benzina e di darle fuoco... Sfido chiunque a non aver mai immaginato cose terribili, in momenti di particolare tensione o ansia. Ecco, io ho fatto tornare a mio vantaggio questa fantasia così fervida. E in buona sostanza basta stare al mondo e vedere qualche telegiornale per immaginare cose terrificanti.
Mani Nude parla dei combattimenti clandestini, di come i ragazzi vengono presi e buttati in questi carnai, e per salvarsi sono costretti a malmenare e uccidere altre persone. Quali sono state le fonti che maggiormente ti hanno ispirato?
Nessuna fonte. Sono partita dal mio orrore per i combattimenti tra cani e mi sono immaginata combattimenti analoghi tra uomini. Il resto è andato da sé. Non mi sono documentata, mai. Sono andata di logica e di ragionamento, anche perché l'aspetto dei combattimenti era uno di quelli che mi interessavano di meno.
Torniamo con Dylan Dog. Nella storia di questo fumetto, quali sono stati i numeri che t'hanno lasciato più ricordi, più fascino e più paura?
I numeri altrui sono moltissimi, da Goblin a Sette anime dannate a L'altro. Stiamo per varare il numero 300 (ma come numero di storie, tra speciali, almanacchi, giganti e storie fuori collana penso che il numero sia già stato superato), scegliere è davvero difficile.
E finiamo. Se dovessi vedere morto l'Indagatore dell'Incubo, come sarebbe morto?
Banale dire "di paura". Eppure, citando un film che amo, io lo immagino morire "vecchietto vecchietto dentro al suo letto". Non in battaglie epiche, ma umanamente. Se lo merita, no?
di Sara Ciambotti
Rintanarsi in mansarda a sfogliare i fumetti del padre, nascondersi sotto il letto per leggere e sorridere osservando pagine nascoste che non devono essere né scoperte né apprezzate. Così nascono i collezionisti di fumetti erotici, grazie alla curiosità e alla libido. Negli anni '70 la televisione italiana vede sbocciare la commedia sexy, con donne emancipate che sfidano lo schermo mostrando corpi longilinei e formosi, senza più vergogna. Con storie leggere, comiche, che devono rilassare gli uomini reduci dalle fatiche del lavoro. Proprio su questa falsa riga nascono i fumetti erotici, un po' stralunati, affascinanti, che raccontano le storie sotto le lenzuola di donne non perfette, lunatiche e beffarde, che fanno l'occhiolino al lettore mostrandogli una natica. Generando un certo pruriginio.
L'apripista di questo genere è L'Isabella de Frissac, di Giorgio Cavedon e Sandro Angiolini, che racconta la storia della “duchessa dei Diavoli”, una donna che vive nella Francia settecentesca di Luigi XII, che si pone, nei confronti del sesso, con atteggiamento schiettamente maschile.
Nella metà degli anni '70 la censura inizia ad allentare le maglie e questo filone narrativo diventa popolare, con un numero sempre crescente di titoli. Si segmenta in più sottogeneri, quali l'horror, con Jacula, Cimiteria, Sukia, dove stupende vampire e orribili lupi mannari dipanano la loro storia per poi avere il solito, lietissimo finale. Fumetti erotico-sociali, quali Camionista, Il Montatore, in cui uomini “comuni” con problemi economici o di alcolismo si trovano a consolarsi con donne coraggiose, bellissime e sempre disponibili. Comico-erotico, con Gigetto, Pierino, thriller-erotico con Misterlady, La Gatta, Lo Sciacallo, fiabesco-erotico, con Maghella, Biancaneve, Cappuccetto Rosso/Rotto e infine fantascientifico-erotico con Zordon, Storie viola, e molti altri.
Parallelamente, sempre negli stessi anni, si sviluppa anche l'erotico “d'autore”, che si serve di donne sfacciate e attraenti per raccontare storie di un certo spessore, narrando violenze, guerra, dissidi psicologici e sociali che trascendono la quotidianità. E' questo il caso di Valentina e Druna, e di moltissimi altri. Non si finirebbe mai di elencare i sottogeneri e i titoli, sono talmente variegate le storie e le protagoniste che ogni albo meriterebbe una storia a sé!
Le protagoniste non erano sempre perfette, avevano fascino proprio perché rappresentavano la donna comune che si può incontrare dal droghiere, che si incrocia per strada e sorride, e concede al lettore il beneficio del dubbio: “Un'avventura così potrebbe capitare anche a me!”. I volti delle protagoniste erano ripresi da attrici e modelle esistenti, gli editori le ingaggiavano certi che avrebbero riscosso successo e molte di loro accettavano per farsi pubblicità, diventando eroine o vampire con una certa dose di autoironia. La più richiesta era Brigitte Bardot, che ha dato il volto a Teodora di Bisanzio e a Barbarella.
Sfruttando la scia fortunata dell'erotico, nascono numerose case editrici dedite solo ad albi di genere; concentrano la loro attenzione su storie leggere, spensierate, dove il sesso e l'erotismo sono l'unico pensiero di uomini e donne, dove i balloons raccontano solo di risolini e gemiti. E nelle famiglie avveniva una naturale scissione, se da una parte c'erano le mamme, le mogli e le sorelle, sconcertate nel vedere tali spudoratezze, dall'altro c'erano gli uomini che sfogliando come nulla fosse gli albi, si chiedevano “Che male c'è?”.
di Sara Ciambotti
Chiedi alla polvere è un libro d’amore.
Un amplesso di emozioni e sensazioni che si scostano dalla naturale concezione dell’amore popolare. Ed attinge a quel repertorio di Thomas Mann e di Dovstojesky che odora di inettitudine e passione. Di paure e determinazioni. Di notti rinchiuse dentro un alberghetto ad arrovellarsi su come sbarcare il lunario, di notti trascorse a progettare la conquista della donna amata. Di sensi di colpa per una famiglia sfruttata fino all’osso e declassata a mera fonte finanziaria.
Chiedi alla polvere è un romanzo di formazione.
Racconta della vita di Arturo Baldini, un mediocre ed ambizioso scrittore che crede nella svolta professionale scrivendo per una rivista letteraria e che al contempo vive l’amore per una cameriera messicana, Camilla Lopez. A volte contraccambiato, a volte no, si dilania nella sofferenza. Nell’indecisione dell’osare e nelle occasioni perse.
Chiedi alla polvere ci trasporta in un universo in cui si alternano squallidi alberghi di periferia ed atmosfere notturne, oppressive ed alienanti. Pensieri contorti, infantili, snervanti che riga dopo riga fanno emergere il nostro io più interiore, e lo pervadono di malinconia e tristezza.
Su John Fante, Bukowski asserì: “Il narratore più maledetto d’America” e, “Il migliore scrittore che abbia mai letto”. Senza dubbio Chiedi alla Polvere è un libro che può o non può piacere. Ma sopra ogni altra cosa riassume le frustrazioni di un ventenne, in un amplesso mai esistito.
di Sara Ciambotti
Gli incubi. Gli incubi non sono solo una questione mentale, onirica. No. Gli incubi sono anche delle creature in carne ed ossa. Che respirano, si muovono e parlano. E mangiano biscotti.
Gli incubi di Hazel è una piccola fiaba nera in cui una bambina di otto anni, scaricata dai genitori e costretta a trascorrere tre settimane nella tenuta di campagna dei Podbury. Si trova ad affrontare prima la zia Eugenia, acida e scorbutica, poi il cugino Isambard con il frac ed il papillon, ed infine delle strane creature: un cane con la testa di legno, le papere tabagiste ed i maiali siamesi.
Il tutto condito da nebbia, pioggia, the e sugo di carne, partorito dalla mente goticheggiante di Leander Deeny.
Solo dopo aver vissuto le paure più recondite e nascoste Hazel, la protagonista, deve farsi forza ed affrontare le sue paure.
Questo libro non ha niente a che vedere con l’opera di Lewis Carrol, alla quale pur sembra rifarsi con la sua fantasia sfrenata, nera e lugubre, che si discosta dalla vita reale ed arriva fin dove solo i bambini possono immaginare. Sogni e paure, solitudini ed ambizioni, accomunano Isambard e Hazel. E sono loro i pilastri della storia, che nella loro ingenuità tessono la trama di un’opera che tutto sommato rimanda a qualcosa di già visto e già sentito. E se si volge lo sguardo a Tim Burton sicoglie nel segno.
Ma Gli Incubi di Hazel resta comunque un piacevole intrattenimento per chi vuole sognare senza pensare.
A Novembre è uscito LMVDM, La Mia Vita Disegnata Male, di Gipi, Uno dei maggiori fumettisti italiani, capaci di conciliare in un'unica pagina aulicità e grottismo, immaginazione e cruda realtà. Per immergere il lettore in una storia paradossale, in cui un ragazzo oppresso dalle insicurezze giovanili non può far altro che subirle. E rimanere inerme. E' una vita vera, una vita vissuta. Ma che fa male e spaventa. E quando ci si trova a leggere le ultime pagine del tomo, e poi lo si chiude, non si può far altro che tirare un sospiro di sollievo. Perché forse la nostra vita non è disegnata così male. Forse.
Credi davvero di aver disegnato male la tua vita?
Se guardo alle cose fatte, sopratutto a quelle che mi hanno lasciato dei segni non piacevoli, potrei dire di si. Insomma, posso dire che da ragazzo non perdevo occasione per fare cose pericolose. Allo stesso tempo però, ora che sono, ahimè, un adulto, ho l'impressione che in quelle scelte ci fosse una sorta di volontà inconsapevole di esperienza. Questa esperienza poi è divenuta racconto, che è divenuto il mio lavoro che infine mi ha dato molte gioie.
La tua opera è una miscela di parole e pensieri saldati in un disegno. Mentre ti trovavi a rimuginare sul tuo lavoro ti tornavano a mente fatti mai ricordati precedentemente? Situazioni e persone dimenticate?
Tutto il libro è stato fatto di getto. Spesso la scrittura di una pagina è stata una sorpresa. Molte volte ho avuto i brividi. Questo però non era necessariamente legato alla rivelazione di fatti dimenticati, quanto allo scoprire, improvvisamente, il significato di quei fatti. E' sempre una sorpresa per me vedere come le esperienze accumulate assumano un aspetto differente quando mi trovo a raccontarle. Scopro cose che non comprenderei mai al di fuori del lavoro del racconto. E questo è uno dei motivi principali che mi spinge alla scrittura.
Le brutture sono parte intrinseca della vita quotidiana. Le parole non sarebbero bastate a rendere le tue idee?
Non credo di avere la capacità di sostenere una intera storia senza disegni. La mia lingua è quella. Viene fuori dall'accostamento tra parole e disegni. I soli disegni probabilmente non sarebbero sufficienti e credo che le parole risulterebbero zoppe. Non ho la capacità né la cultura necessaria per essere uno scrittore. Per questo resto così legato al racconto con le immagini.
Le tue opere, nonostante siano narrate in prima persona, risultano molto impersonali, quasi ciniche. Sembri quasi un giudice di te stesso. Se tu fossi un lettore medio e ti trovassi a leggere una tua opera, cosa ne penseresti?
Non riesco a immaginarlo. Però posso dire che quando lavoro sono sempre spaccato in due, una sorta di schizofrenia. Una parte di me è presuntuosa e irrefrenabile, convinta com'è della sua missione di raccontare in libertà, senza freni. L'altra però non ha una bella opinione di sé e mi tiene d'occhio. mi parla e mi sgrida quando prendo direzioni troppo contorte. Non dimentica mai il lettore e mi fa volare il più basso possibile (o almeno vorrebbe farlo). Le due parti litigano e si battono giungendo, di solito, a un compromesso. Quel compromesso finisce sulla pagina, originando, forse, quella scrittura altalenante tra tragico e comico che credo sia la particolarità del mio lavoro.
Nello scrivere LMVDM, narrando la storia di un ragazzo sfattone, pieno di paturnie, insicurezze e rabbie contro il mondo, non ti sei sentito un po' patetico?
No. I ragazzi non sono mai patetici. Lo sono gli adulti. Lo è chi ha rimpianti, a volte. Ma da ragazzo avevo una strada da fare. Non mi ponevo problemi. Camminavo. E poi c'è l'umorismo a salvarci da queste possibili trappole. Non prendersi mai sul serio. Non prendere troppo sul serio neppure i fatti tragici.
Hai detto che solo dopo aver pubblicato LMVDM ti sei accorto di quanto avessi osato e di quanto tu abbia paura. Ti sei pentito di averlo scritto?
No. Ho solo avuto un po' di inquietudine quando, passata l'ondata di incoscienza ed entusiasmo insita nel raccontare, mi sono reso conto che il libro sarebbe finito in mano (per fare un esempio) alla mia mamma.
Quando hai un'idea, il momento di insight è verbale o figurativo? La realizzazione inizia dalla sceneggiatura o parti subito dal disegno?
Le due cose sono fuse. In LMVDM ho iniziato con una frase. Ma sapevo già che a quella frase sarebbe seguita un immagine. E dico "seguita” solo perché tecnicamente e per esigenze di ritmo, sarebbe arrivata "un attimo" dopo. Ma stavano già là, insieme, nelle mie intenzioni.
Affermi di non appartenere al panorama fumettistico italiano. Perché?
Dico solo che non sono un lettore. Non conosco il panorama del fumetto. Me ne sto fuori. Come sto fuori da altre mille cose. Non è una questione di snobismo o di nascondersi: è solo il modo in cui sto al mondo. Non è un pregio. Sono tornato dal festival di Angoulême e sul treno mi sono reso conto che non avevo aperto un solo libro di fumetti. E ce n'erano migliaia. Non ne sono fiero, ma sono fatto così. Leggo i lavori dei miei amici e delle persone a cui voglio bene, perché è come parlare con loro. Ma lo faccio sempre in ritardo. E poi cos'è il mondo del fumetto? Non credo alle corporazioni, ai gruppi, all'essere colleghi. Si può amare qualcosa, e metterla in pratica, senza avere una tessera di appartenenza, no?
Dici di non sentirti condizionato nello scrivere storie. E se qualcuno ti chiedesse di cambiare un lavoro affinché sia pubblicato, tu rifiuteresti. Perché, allora, hai collaborato con Blue?
Non ho mai cambiato niente nel mio lavoro. Per me raccontare e disegnare significa libertà. Se questa viene a mancare viene a mancare il motivo profondo. Ho pubblicato su Blue perchè ero giovane e morivo di fame e campare con i fumetti in Italia era per me impossibile. Ma anche allora ho fatto quello che volevo. i lettori di Blue compravano il giornale (anche) per masturbarsi, ma nelle mie storie non c'era niente di eccitante o erotico. L'erotismo non mi interessa come oggetto di racconto. O almeno, non m'interessa nella forma più diffusa. Da qui le numerose lettere di protesta. Insomma, facevo quello che volevo, anche allora.
Mentre scrivevi le tue opere, non ti sei mai scoperto a sorridere amaramente?
Da me si dice "a bocca storta". E nel lavorare su LMVDM mi sono trovato a ridere come uno scemo.
Sei un insegnante di disegno. Ti piace insegnare? Avresti voluto avere un insegnante come te?
No, credo di no. Non avrei voluto un insegnante come me. Ero un casinista (ora ho smesso di insegnare). Mi ritrovavo sempre a parlare in termini incomprensibili. Vedevo lo sgomento negli sguardi dei ragazzi, sopratutto quando sostenevo che si impara a disegnare stando lontani dal tavolo da disegno. Credo che occorra un cervello più ordinato per insegnare. Per questo ho smesso.
E dulcis in fundo, Gipi è anche un regista. Cosa ti piace della regia e cosa del fumetto? Quanto ci si sente registi nello scrivere un'opera fumettistica?
Le due cose hanno punti in comune: si deve gestire il ritmo, si devono controllare le inquadrature, gli atteggiamenti e i dialoghi dei personaggi. Poi è chiaro che i due mezzi hanno peculiarità proprie. Spesso però, e adesso ancora di più, penso ad un possibile passaggio al cinema. La cosa che mi attira molto, del lavoro cinematografico è il lavoro in squadra. L'opposto di quella condizione di solitudine autistica alla quale obbliga, spesso, il lavoro di disegnatore.
Se vi trovate nei pressi di Lucca durante l’ultimo week-end di ottobre, dovete stare molto attenti. Potreste imbattervi in Mazinga che vi prende per il collo e vi lancia dentro un padiglione. O in Ken il guerriero, che con la mossa di Hokuto Hyakuretsu Ken, vi trancia in mille pezzi e vi spedisce nell’area Games.
Si, perché nell’ultimo week-end di ottobre, a Lucca, si svolge una fiera speciale. La fiera di Lucca Comics and Games. Con un centinaio di migliaio di persone, centinaia di cosplayers e decine di manifestazioni, Lucca si trasforma in una mostruosa macchina di divertimento, in cui tutti, dai grandi ai piccoli, trovano ciò che cercano. I loro idoli.
Non c’è da stupirsi se ci si imbatte in un uomo in giacca e cravatta con sotto braccio le ali di Sailor Moon. O in un bambino che si muove sull’inconfondibile Rat-Mobile.
O se V (per Vendetta) vi sbatte dietro la schiena e vi chiede scusa.
Lucca Comics and Games è questo. E’ la fiera di fumetti più grande d’Italia che ammalia, stupisce e diverte.
Usciti dalla stazione, seguite la fiumana di gente e vi ritroverete all’interno delle mura della città. Nell’area Comics. Dove decine di padiglioni esplodono da Piazza San Michele a Piazza Napoleone. Da Piazza San Giusto a Piazza San Giovanni.
Migliaia di fumetti sono esposti sugli stand, lungo i vicoli di tutta la città. Così come magliette, action-figures, peluches e gadgets. Oggetti che si trasformano da inutili prendi polvere di tutto l’anno, ad unica ragione di vita.
Il centro propulsore dell’area Comics è il padiglione Napoleone, nell’omonima piazza. Questo è il padiglione dei padiglioni, dove sono allocati gli editori italiani che presentano le nuove uscite e propongono le vecchie. Qui è possibile incontrare sceneggiatori e disegnatori, scambiare quattro chiacchiere e, perché no, mostrare i propri lavori.
Ed è proprio qui che i fans più accaniti sono disposti a fare ore di fila per conquistare uno sketch di Leo Ortolani o dei Paguri (Daniele Caluri ed Emiliano Pagani).
E non è impossibile incontrare un viso famoso. Magari un musicista, o uno scrittore, o un conduttore televisivo.
Come Ligabue, ad esempio. Che quest’anno ha presentato Chiedi alla Neve. Fumetto tratto dal suo ultimo libro. O Dario Argento che ha partecipato alla giuria del concorso Gran Guinigi. O Carlo Lucarelli, che, evitando la conferenza stampa del sabato mattina, si è presentato solo il pomeriggio, attirando allo stand della Star Comics centinaia di affezionati e facendo esaurire nel giro di pochi minuti tutti i numeri di Cornelio.
Uscendo dalle mura cittadine ed imboccando il viale alberato, si arriva ad un immenso capannone. Piantato, come ogni anno, in una vasca di fango. E’ la zona Games.
Complici le piogge dei primi due giorni di fiera, il 2008 è stato un anno particolarmente nefasto per i seguaci dei giochi di ruolo.
Al contrario della sezione Comics, il Games è allestito sotto un unico, gigantesco capannone. Dove si dipanano stands dalle esigue dimensioni che offrono dadi, manuali, carte, giochi da tavola, draghi, fate, ninja ed action-figures.
Al centro dell’attenzione, quest’anno, ci sono stati due anniversari. Il ventennale del Fantacalcio ed i quindici anni di Magic the Gathering. Ed è proprio per quest’ultimo evento, che quest’anno è giunto in Italia il disegnatore di alcune delle carte da gioco più importanti: Mark Tedin.
Presente in fiera insieme all’amico illustratore Anson Maddocks, hanno distribuito decine di sketchs ad adulti e bambini, appassionati e curiosi.
Proseguendo la passeggiata nel padiglione, si arriva alla Cittadella: un luogo meno caotico dove poter incontrare e scambiare quattro chiacchiere con tutti i personaggi partoriti dalla letteratura fantasy. E respirare i dolci effluvi della cucina orientale e medievale.
In questa zona, ciotole di carta rossa strabordano dai cestini dell’immondizia e fanno inciampare chiunque cammini. Sono i Cupnoodles. Che contengono gli spaghettini giapponesi famosi in tutto il mondo, che si preparano in acqua bollente facendovi sciogliere gli aromi in bustina. Molto buoni, ma anche molto chimici.
Dalla Cittadella si accede direttamente all’uscita, dove coraggiosi e improvvisati guerrieri si affrontano in duelli all’ultimo respiro. E, nel caso si dovessero ferire con le spade di plastica, un’ambulanza è pronta a dar loro soccorso. La nostra passeggiata è finita. La fiera di Lucca Comics and Games è tutto questo. File da rispettare e caos a cui resistere. Tanto fango, tanta pioggia e tanto caldo. Divertimento, sorrisi e sorprese. Una città che in quattro giorni si trasforma in una cittadella, dove incontrare scrittori, sceneggiatori e disegni viventi. Dove vivere in un altro mondo. Un mondo parallelo, fatto di carta, chine ed inchiostri. Fatto di carne e di ossa.
di Sara Ciambotti
Fuoco nella polvere è un romanzo uscito negli Stati Uniti nel 2001 e pubblicato, solo quest’anno, in Italia.
Tentare di attribuire un genere alle opere di Lansdale è un’impresa assai ardua, che raramente dà i frutti sperati. Uscirebbero generi quali lo splatter, il noir, il western, fantascienza, tutti attendibili ma non perfettamente calzanti.
Fuoco nella polvere parla di una compagnia circense, la Wild West Show, che si dirige con il suo zeppelin in Giappone per una missione diplomatica. L’America, infatti, sostiene economicamente gli armamenti giapponesi in cambio della cessione delle terre costiere. Ed il Wild West Show fa le veci degli Stati Uniti per reclamare ciò che gli spetta. A bordo ci sono: Wild Bill Hickock, Toro Seduto, Annie Oakley e Buffalo Bill Cody. O meglio, la sua testa.
In realtà il loro viaggio ha uno scopo ben meno nobile: rubare ai giapponesi il corpo di Frankenstein per studiarne il funzionamento e restituire al cacciatore un degno corpo.
Fuoco nella polvere è un vero e proprio valzer che ci guida tra i personaggi illustri della letteratura classica mondiale e ci fa vedere con disillusa chiarezza che anche i nostri miti sono in realtà uomini normali.
Una parodia che va dal Mago di Oz a La fattoria degli animali. Senza mai risultare pesante, anzi. Sfatando i luoghi comuni dei benpensanti e rincarando la dose per i più cinici.
Solamente Lansdale poteva provare a miscelare il mondo fantastico con la clonazione e tanto, tanto sangue. E solamente lui poteva riuscirci in maniera tanto magistrale.
La locandina di Lucca Comics è stata mostrata per intero e non lascia spazio all’immaginazione. Leo Ortolani sarà uno dei maggiori ospiti dell’edizione 2008 di Lucca Comics and Games, insieme, ovviamente, ai robottoni di Ufo Robot. Che festeggiano il trentennale dalla comparsa su Rai2. Ma non perdiamo di vista la creaturina orecchiuta, perché Leo è sempre Leo, ma il ratto, beh… come si dice dalle nostre parti non si tosce!
Quindi veniamo a noi, undici domande undici, si parte!
Totem è stata una delle riviste più in voga degli anni 80-90. Parlaci della tua esperienza.
Totem è stata una delle prime opportunità di lavoro per me, grazie principalmente a Luca Boschi che ne era il direttore artistico e che mi stava aiutando come un maestro jedi nella via del fumetto!
Su questa rivista ho potuto sperimentare diverse cose, tra cui le strisce di Clan, le storie de Gli intaccabili e Le meraviglie della natura. E per la natura stessa della rivista, scanzonata e politicamente scorretta, come sceneggiatore potevo cavalcare su argomenti proibiti a normali case editrici! Per farvi capire, il cavallo era nudo.
Sei una delle punte del comics made in Italy, che d’altronde ha una ricca storia. Come mai secondo te i maestri del fumetto italiano non hanno lasciato sementi sul territorio?
Non è che le debba lasciare io, solo perché faccio Ortolani di cognome, eh? Però non ho capito la domanda…Se io sono qua, qualcuno deve pur avermi seminato, no?;)
Venerdì 12 è una catarsi delle tue sofferenze amorose? Parlaci della tua Bedelia.
Cioè…Ci ho messo anni di auto-analisi tramite il fumetto per curare le mie ferite e poi ve ne uscite con questa domanda? Maledetti! Tanto di Bedelie ce ne sono un sacco in giro, tutti ne abbiamo avuta una, anche di sesso maschile (ma sono le più inquietanti) e parlarne riaprirebbe ferite nei cuori di tanti lettori…E voi NON volete questo, vero?!
Il cartone di Rat-man rispecchia l’idea che avevi in mente? Che ne pensa Cinzia? Ed infine, perché non si vede neanche un pene? Noi donne ci terremo molto che tu…
Rispondo all’ultima domanda. Non si vede il pene perché purtroppo avevano chiesto di metterci il mio. Io, entusiasta di ogni cosa ho aderito subito all’iniziativa, poi, quando hanno visto il materiale su cui lavorare, hanno deciso di toglierlo senza fare altri commenti. Ogni tanto però li sento che ridono. Il cartone animato rispecchia buona parte di quello che avevo in mente, ma non è semplice passare da un fumetto a un cartone animato, sono due mezzi diversi. Direi che per un esordiente totale come me non è andata male!
È vera la storia per la quale da bambino avevi un amico immaginario chiamato “Standing Stone”? Parlaci del calcare massiccio.
No, da bambino avevo un amico immaginario che lavorava per una multinazionale, quindi non c’era mai.
Hai una vaga idea di dove andare a parare sulle storie dell’eroe? E soprattutto vedremo mai il numero speciale Rat-man contro i Tecnocrati italiani?
MAI, dico MAI mescolare i fumetti con la realtà! Infatti, io che nella realtà non ci vivo mai, so benissimo dove sto andando a parare, con Ratty, ma rivelarvelo vi riporterebbe alla realtà e vi ritrovereste con i tecnocrati italiani. Che, tra parentesi, che musica fanno?
Rat-man dovrebbe concludersi entro il 2014 con il numero 100. Non ti sei mai stancato di dedicarti solo a lui? Vorresti intraprendere nuovi progetti?
Progetti ne ho intrapresi tanti, anche non legati al fumetto, anche di vita personale…E sono quelli che mi impediscono di restare fisso su Rat-Man 24 ore su 24! E del resto, di stare con rat-man sarà difficile che mi stanchi, dopo quasi 20 anni!…Perché il 2009 sarà l’anno del ventennale della creazione di Rat-Man! Auguri!
Rat-man è l’eroe anti-eroe per eccellenza. Oltre a Batman, a quali altri eroi ti sei ispirato?
Più che a qualche eroe particolare, mi sono ispirato ad atmosfere “da supereroe”…in cui ho calato vicende tragicamente umane! E il mix è servito!
Ti sei mai trovato a fissare il foglio bianco, con la matita in mano, ad aspettare l’ispirazione? Accorgendoti che il tempo passava, e l’ispirazione pure?
L’ispirazione non è qualcosa che passa. Non per me, almeno. Ma il foglio bianco lo fisso sempre, ogni volta che inizio una storia, per decidere quale delle trecentoventi direzioni che mi si parano innanzi voglio prendere per raccontare una data storia.
Cosa ti senti di consigliare a tutti gli esordienti del mondo del fumetto italiano? Di fuggire all’estero?
L’estero è così lontano…Io consiglierei semplicemente di disegnare fumetti senza pensare alla pubblicazione. Fare fumetti deve essere un piacere, non un lavoro. E’ talmente faticoso che piuttosto converrebbe lavorare in un ufficio. Almeno alle 17 stacchi e tanti saluti a tutti! Se poi capita che le cose che disegnano piacciono e vengono pubblicate e il piacere coincide con il mestiere…Be’…Siete stati fortunati e non potrete più lamentarvi di niente per il resto dei vostri giorni.
Rat-man ti è mai servito per acchiappare?
A me no, ma a molti lettori sembra di sì. E poi si sposano!! Come diavolo fanno????
di Sara Ciambotti
Prendete una manciata di scrittori ed un pugno di sceneggiatori, buttateli in un calderone e girate. Quando otterrete una poltiglia densa e verdognola, aggiungete un mestolo di ragni, scolopendre e zanzare. E l’antologia è servita.
Pronta per essere letta e goduta in tutto il suo disgusto.
Storie splatter, thrilles, hard boiled si muovono a braccetto portando il lettore in un microuniverso in cui l’uomo è solo una pedina tra le zampette uncinate e velenose degli insetti. Ed è destinato a soccombere.
La raccolta si chiama Bugs ed è uscita per la fiera del libro di Torino con la Edizione BD.
In un mondo in cui l’uomo è al vertice della piramide alimentare e gli insetti sono alla base, che succederebbe se i nostri piccoli amichetti decidessero di ribellarsi vendicandosi di tutti i soprusi subiti?
Dazieri, Cajelli, Bianchi, Schiavone, D’Altieri, Recchioni, Morozzi, Remmert, Di Gregorio e Di Marino ce lo raccontano con gusto ed ironia. Mostrandoci per scarse trecento pagine come sarebbe la nostra ingloriosa vita se il mondo si capovolgesse.
E quando ci troviamo a chiudere il libro, ormai terminato, non possiamo non tirare un sospiro di sollievo, coscienti che sono state solo delle lunghe e raccapriccianti storie.