Holy EYE

CERTIFIED

di Hanry Menphis e Giorgia Tribuiani

 

Verrà un tempo in cui un meteorite grande come l'Alaska si abbatterà violentemente sul nostro pianeta, deformandone l'assetto e mutandone radicalmente l'atmosfera. I cieli si oscureranno e l'aria diventerà irrespirabile; allora per la specie umana sarà finita. E in che modo avremo lasciato il segno in questo universo? Come potranno, un giorno, esseri di altre galassie sapere che l'uomo, in queste poche centinaia di migliaia di anni, ha saputo sfruttare il proprio cervello anche in maniera positiva?

Stefano Benni un'idea ce l'ha. Per lui sarà l'arte a rappresentare il meglio della storia umana e allora, accompagnato dal maestro Umberto Petrin al pianoforte (il tutto nel suggestivo allestimento scenico di Fabio Vignaroli), si è fatto portavoce di tutti gli uomini e, all'Auditorium Parco della Musica di Roma, il 21 gennaio 2011, ha selezionato per noi cosa portare su L'ultima astronave.

Dunque gli alieni si ritroveranno fra le mani il frutto tangibile dello storico desiderio umano di comunicare: dai graffiti paleolitici al genio di Leonardo Da Vinci, dall'immaginario fantastico di Hieronymus Bosch ai ritratti di Diego Velàsquez, da Vincent Van Gogh a Cy Twombly; ma anche Klee, Bacon e Walt Disney con i suoi elefanti rosa.

Benni non fa economia di sentimenti, buoni o cattivi che siano, per accompagnarci in questo viaggio interspaziale in cui verremo giudicati non per quello che siamo, ma per ciò che abbiamo creato, sia esso letteratura, musica o pittura. E quando giunge la conclusione, coinvolgente è la chiusura dell'artista, un crescendo che appare come una spasmodica ricerca del senso della vita e dell'arte e che approda in quei definitivi punti di sospensione che ancora lasciano l'umanità col fiato sospeso e che trovano espressione, per Stefano Benni, nelle parole di Van Gogh: “Sto ancora cercando”.

Lo spettacolo è finito, ma il sipario non si chiude: l'artista ha ancora un regalo per il suo pubblico. Un racconto, stavolta, una storia fantastica su quella vecchiaia fin troppo reale che ha il sapore della solitudine. Ma anche della speranza, racconta Benni, poiché al di là di cosa è reale e cosa no, al di là di cosa sia l'arte e di ciò che ci riserveranno il futuro e la fine del mondo, l'uomo - così come l'anziano del racconto - non cerca che una mano da stringere e un cielo dove poter volare.

 

di Giorgia Tribuiani

 

 

Achille pié veloceIl protagonista (il primo che incontriamo) si chiama Ulisse. Il co-protagonista (e lo chiamiamo “co”, solo perché è il secondo che incontriamo… ma dalla sua parte ha il titolo), Achille. Lo scrittore, però, non si chiama Omero.
No, perché “Achille piè veloce” non è un libro antico, ma un libro davvero moderno e non solo perché Achille, idrocefalo, malato e paralizzato, parla digitando sulla tastiera di un computer, ma perché Stefano Benni affronta il tema della diversità col suo modernissimo stile carico di ironia (ma, al tempo stesso, privo di leggerezza), senza mai scendere nel patetico.
Così si può passare da discorsi su un libro scritto da autori che pesano più di 100 kg (“Aspetti… mi auguro che il taglio dell’intervista non sia sottilmente antiamericano” “Noi obesi non facciamo niente sottilmente”), a digressioni sull’arte dello scrivere (“un’operazione per dinosauri”, ragion per cui non bisognerebbe parlare di dattiloscritti, ma di “scrittodattili”) a toccanti dialoghi sui “piccoli malesseri transitori”(mordersi la lingua, farsi male radendosi, scordarsi il nome di un attore, l’autobus che è appena passato, eccetera), quelli per cui la gente comune si lamenta, mentre chiude gli occhi di fronte ai grandi dolori.
Achille, allora, in quest’ultimo caso, si assume il compito di “sensibilizzare” Ulisse, mentre l’altro lo aiuta a “vedere” ciò che lui – sempre chiuso nella sua stanza – non ha mai potuto vedere. E quest’impresa, quella di aprire gli occhi all’altro su un mondo mai vissuto, diventa degna dei nomi omerici che i personaggi portano. Dimostrando che non solo una battaglia combattuta con le armi può trasformare un uomo in un eroe.

di Luca Torzolini


Ballate“La poesia dice troppo in pochissimo tempo…”, come diceva il vecchio Buk. È di questo succo denso e palpitante che necessita il genere umano come un vampiro che ha sete di sangue. D’altra parte è anche vero che la lettura di un testo poetico richiede quasi sempre un’immersione totale nel mondo sottomarino dello scrittore e il lettore deve essere in uno stato d’animo che gli consenta un’apnea prolungata.

Con Benni questa sobrietà non è la “conditio sine qua non”: le parole entrano ed escono dall’anima come una boccata di fumo. La complessità può essere ricercata nello stile innovativo del poeta che si impregna di elementi magici; fa ampio uso di giochi di parole, neologismi e parodie di altri stili letterari che esortano una riflessione piacevole dall’altra parte della pagina. Nelle sue ironie immaginarie è possibile inoltre trovare pensieri profondi che contengono una forte satira della società odierna. Così è facile ritrovarsi incantati dall’universo umano che solca la cometa, dall’atto visionario di un gatto che rincorre un topo sulle righe di una pagina, dal teatro cinico dell’amore trash moderno. L’ipocrisia umana urla sottovoce dalle pagine e a volte le diagnosi di uno psicanalista possono essere “selvagge”. I sensi, intrappolati in una rete invisibile di meccanismi poetici, saranno sospesi nei mondi paralleli di queste ballate.

Sapere i nomi delle costellazioni che per secoli ci hanno illuminato di una luce maestosa e solenne non basta, a volte bisogna spostare il telescopio per conoscere i segreti dell’infinito.