Bene, ce la possiamo fare. Abbiamo il telefono, abbiamo il numero, carta e penna non ci mancano, abbiamo le sigarette, possiamo intervistare Stefano Bollani. Ci diciamo, ok: è Stefano Bollani, scherza sempre e non manca di prendersi in giro ma tentiamo di darci un contegno e facciamo un’intervista professionale. Alzo il telefono e faccio il numero. Squilla. Mi presento al grande pianista jazz italiano, nonché simpatico showman. Sì, ciao - ci fa lui - ma diamoci del tu ok? Perfetto, l’intervista può iniziare.
Oscar Wilde diceva "L'arte non dovrebbe mai divenire popolare. E' il popolo che dovrebbe divenire artistico". Tu cosa ne pensi?
Beh, ma Oscar Wilde era un tipino snob… Penso che esistano infinite vie di mezzo, come la storia ci ha insegnato. Esistono artisti molto popolari senza che per questo siano commerciali. L’arte può essere apprezzata dal pubblico senza dover per forza diventare nazional-popolare, e penso ad esempio a Chopin.
Cosa manca alla musica italiana?
Posso dirti cosa manca all’Italia in generale verso l’arte e cioè attenzione da parte delle istituzioni, manca una glorificazione dell’artista. In altri paesi assistiamo ad un impegno costante, un aiuto non per forza economico ma a volte anche solo di immagine. C’è bisogno di investire nella cultura, ma quando si devono fare dei tagli si taglia nell’istruzione. L’Italia deve cominciare a guardarsi allo specchio: è una nazione che vive di turismo culturale, che vive in un certo senso della cultura del passato e non valorizza quella attuale.
Quali sono stati gli artisti che ti hanno dato la spinta a diventare un musicista?
Mah, a diventare musicista mi sono spinto da solo. A sei anni mi sono seduto ad un pianoforte e non mi sono più fermato.
Qual è secondo te il picco massimo della creazione artistica? Scegli un'opera.
E’ difficile. Ce ne sono così tanti che sarebbe comunque una scelta troppo personale, sono gusti.
La tua carriera musicale ti porta inesorabilmente nel campo jazz. Tuttavia i forti riferimenti a Prokofiev in "Piano Solo" denotano un tuo background classico. Chi tra i pianisti classici apprezzi di più?
Ammiro molti pianisti classici, ma sarebbe piu' facile rispondere riguardo ai compositori, dove sono piu' selettivo. Dovendo rispondere citerei quantomeno due imprescindibili: Pollini e la Argerich.
Nello "Zibaldone del dottor Djembe" assistiamo ad una vera e propria campagna contro il "giro di do". Ne sei mai rimasto vittima?
(Ride n.d.r.) No, mai. Lo Zibaldone del dottor Djembe, come hai visto è un libro molto giocoso, ci sono giochi molto attivi all’interno. Ad esempio quando è nato il personaggio del dottor Djembe con David Riondino volevamo invitare Gino Paoli per fare “Il Gino di Do” ma lui non è venuto. Il libro è pieno di umorismo. Una cosa che mi piace molto fare è giocare con i miei miti.
Si può dire che anche te come il tuo personaggio Simpliciano sia un amante della contraddizione?
Sì, assolutamente. Anche se spesso non condivido quello che dico.
Oltre che della contraddizione sembri anche essere un amante della metascrittura. Quali sono stati i tuoi riferimenti in questo ambito?
Beh, qui posso essere precisissimo: alcuni hanno visto un collegamento con Rodari, ma di grande ispirazione sono stati per me Calvino e Queneau. Infatti nel libro avrai notato molti discorsi surreali.
Allora Stefano, mi rimane solo un’ultima domanda da farti e devo fartela per forza.
Oddio, credo già di sapere qual è…
Mi elenchi i nomi dei sette nani?
(ride n.d.r.) Ah, ma allora non vale perché li so tutti. Brontolo, Dotto, Pisolo, Mammolo, Eolo, Cucciolo e naturalmente il nostro preferito: Gongolo.
di Marco Sigismondi
Dalle prime note di questo Piano Solo, si nota come Stefano Bollani dimetta immediatamente il cappello a sonagli che ne identifica la qualifica di buffone per indossare gli abiti del pianista, al momento uno dei migliori italiani in campo jazz. Ispirato, a detta dell'autore, al compositore russo Sergey Prokofiev, il disco passa da momenti più melodici come On a theme of Sergey Prokofiev a pezzi carichi di dissonanze e piuttosto complicati come le varie Impro (I, II, III, IV), mantenendo tuttavia un filo conduttore: quello del jazz, di cui Bollani si rivela veramente ottimo interprete, nonché portabandiera italiano. A tratti molto spigoloso e complesso, dai suoni quasi intellettuali, il disco sembra rivolgersi principalmente a preparati estimatori, senza però chiudere le porte ad un ascolto più intuitivo. Senza dubbio molto ben suonato e capace di dare forti sensazioni. Basta chiudere gli occhi per sentire l'odore di sigaretta al chiuso, il sapore dell'alcool, i respiri, i colpi di tosse, le voci che discutono e persino il pianoforte sembra perdere di qualità nel suono, per divenire un vecchio piano verticale, scolorito dal tempo in un vecchio bar di New Orleans.
di Giorgia Tribuiani
Avete mai provato ad elencare i sette nani? Sì, lo so, arrivati al sesto non ricorderete il settimo. E questo doveva essere uno dei teoremi preferiti di Stefano Bollani, quando il celebre compositore e pianista jazz decise di intitolare il suo breve romanzo “La sindrome di Brontolo”. Il corollario? Il nano che si ricorda meglio è appunto Brontolo, in un mondo dove tutti sono pronti a lamentarsi di tutto. “Brontolo non fa che notare le cose che non vanno e non si accorge di altro. Brontolo non coglie le occasioni”.
Il libro di Bollani, però, è quanto di più lontano dal saggio apocalittico si possa leggere: tra la trovata avanguardista e il capitolo di metascrittura, l’autore ci conduce in un universo comico e dell’assurdo dove i palloncini ad elio portano su per la volta celeste i bambini che li acquistano, un uomo cambia identità in ogni paese (“E’ il mondo moderno. Si venera la molteplicità, la quintupla identità”) e il buon Simpliciano propina a tutti le storie surreali dei propri amici (“anni fa tutta questa gente se ne stava davanti al caminetto a raccontarsi storie; oggi se proprio si vuol raccontare loro qualcosa, tocca rincorrerli”).
La sindrome di Brontolo non vuole sciorinare massime esistenziali, ma solo convincere i lettori a fermarsi un momento e a guardarsi intorno, perché “il mondo non si accorge di nulla. Uno può benissimo assurgere improvvisamente al cielo, prendersi la colpa di tutto, vendere palloncini magici, guidare con filosofia, trovare un libro che parla di lui, allungarsi piedi e scarpe a dismisura e le macchine continueranno a rombare violente verso la loro improbabile destinazione”.