di Massimiliano Aceto
L’uomo vecchio guardava la strada, le sue mani stringevano le briglie. Accanto a lui, sul legno marcio, dormivano i due ragazzi, testa contro testa. Il viaggio era stato lungo, ma dietro il monte, finalmente Atene. Il vecchio svegliò i due, indicò davanti a sé e restarono a guardare in silenzio. Erano cinque anni che non vedevano la città. I due ragazzi erano scappati nascondendosi in quel suo carretto marcio, per raccontare l’Odissea nei villaggi dell’Attica. Ora erano tornati, non ricchi, ma con una grande sorpresa fra le mani. Avevano inventato la “tragedia”.
Il conducente tirò le briglie, scese dal carro e si immerse nello stagno fra due rocce. I due ragazzi lo seguirono, emozionati, si tuffarono. Giocarono nell’acqua sporca per poco tempo poi il più anziano li fece uscire. Aprì il baule sotto il legno marcio e tirò fuori dei vasetti di polvere colorata. I due ragazzi, come il maestro gli aveva insegnato, si colorarono il viso con due dita, senza sprecare neanche un granello. L’uomo vecchio nel frattempo indossò la veste bianca che ormai era grigia e truccò di grigio la barba che ormai era bianca. I due infilarono le vesti bianche e salirono sul carretto. L’uomo riprese le briglie in mano e ripartirono. Era il 534 a.C, il vecchio Tespi tornava ad Atene insieme a due giovani: Frinico e Cherilo. Portavano in città un terremoto che avrebbe cambiato il modo di raccontare e di pensare, non solo ad Atene, ma nel mondo intero.
Non più monologo ma dialogo. Attore e coro protagonisti di una nuova realtà. Era nata l’esigenza di dar da mangiare non solo ad una persona, ma a tre. Dal racconto si era passati all’azione scenica. Le parole non venivano più raccontate, ma vissute. L’attore attraverso l’azione viveva altre realtà: ciò lo affascinava da un lato; dall’altro capiva di essere una creatura con il proprio dolore, poiché nell’azione esprimeva la volontà e da questa nasce la sofferenza.
Tespi e i due giovani assistenti entrarono in città. Non uomini, ma attori. Le donne li guardavano, i bambini ridevano, loro salutavano seduti su una nuvola di colori. Salirono verso l’acropoli, aprirono il carretto, tirarono fuori una grossa coperta di lana che misero sulla terra. La gente si avvicinava a loro. Tespi fece un cenno a Frinico e Cherilo che entrarono nello spazio scenico e poi entrò anche lui. Chiusero gli occhi per pochi secondi, si guardarono e sorrisero. Il coro cantò: era il prologo della prima tragedia della storia.
di Stefano Tassoni
Ray E. Davies ha un passaporto per arrivare direttamente al vostro cervello. Risalendo il fiume delle sinapsi si analizza con l’aiuto della carta stampata e così facendo scandaglia il mare magnum del suo e del nostro ego; parlando di sé ci parla di noi e lo fa attraverso le sue poesie profonde, intime, intransigenti, rivelatorie. Ossessive. Già, perché il tratto più caratteristico sembra essere l’ossessione, palesata in molti versi (“VOLERE FARE VOLERE FARE VOLERE FARE/ VOLERE FARE VOLERE FARE VOLERE FARE”, “La mia bocca parla per me/ La mia bocca parla per me/ La mia bocca parla per me/ La mia bocca parla per me”, e ci sarebbero ancora molti altri esempi) e unita ad una amara consapevolezza di se stesso (“Voglio i soldi e voglio la fica/ aspirazioni molto poco/ rivoluzionarie”). Per quanto riguarda invece l’utilizzo degli “strumenti della poesia” , l’autore fa un grande uso di accumulazioni e di enjambement, che però nel suo metro libero si confondono con la tradizione ermetica utilizzante l’extratesto (la disposizione delle parole e dei versi nel bianco della pagina) allo scopo di dare maggiore o minore impatto visivo; ma nonostante ciò si dirige verso tutt’altra direzione, verso Foscolo (“Ritornerò un bel giorno al petto della madre mesta), ma anche verso l’altrettanto romantico seppur contemporaneo Guccini con influenze dai CCCP ( “Bologna la dotta la rossa la grassa... Bologna... Bologna... Bologna...” da Live in Bologna (remiscelata)). Forte infine anche l’influenza del più psichedelico dei Floyd nel sotteso compiacersi di un processo autodistruttivo.
di Luca Torzolini
Cosa ti ha spinto a fare lo scrittore?
È lo scrivere che ti sceglie. Scrivere è un dovere, non una cosa che decidi. Lo fai e basta. Tutto il resto non conta. A dire il vero non so quanto sia stata colpa di mia nonna. Ricordo che da bambino mi ripeteva spesso che gli unici soldi ben spesi, esclusi quelli per il cibo, erano quelli per i libri. Poi è stata tutta una concatenazione di eventi. Durante la depressione adolescenziale spendevo tante ore a leggere, quindi cominciavo a riversare le mie pene su carta. I miei compiti di italiano, al liceo, giravano tra tutti i professori, mi dicevano che avevo talento, cosa che sapevo già. Mi sarebbe piaciuto scoprire qualcosa di nuovo, ma niente.
Anche se alla gente non importa nulla degli scrittori emergenti, tu sei determinato abbastanza a farti trovare almeno una volta a settimana in qualche locale in giro per l´Italia a leggere i tuoi libri. Cosa ti spinge a non mollare?
La disperazione, un ego contraddittorio e la speranza di vendere qualche libro in più; la fortuna di autori come Kerouac, Burroughs, Bukowski, questa gente disperata che mi ha influenzato quando non ero ancora ventenne. Nasce anche dalla loro presenza sul territorio: li trovavi spesso e volentieri in qualche bettola a leggere le loro cose, lontani dai cliché solipsistici in cui troppo spesso si vuole relegare lo scrittore. Inoltre non dimentichiamo che la poesia nell'antica Grecia è nata proprio sotto forma di tradizione orale, quindi niente di più naturale.
Ho saputo che ti sei licenziato da qualche mese e stai facendo lo scrittore a tempo pieno. È difficile sopravvivere con i tempi che corrono?
Purtroppo la pacchia è finita. Mi sono preso un periodo di pausa per mettermi al pari con un po' di lavori arretrati, ma le poche risorse sono terminate e sono ritornato a sgobbare. Faccio un lavoro pessimo. Se qualcuno avesse di meglio da offrirmi, magari scrivetemi una mail, l'indirizzo lo trovate sul sito della mia casa editrice, Tespi.
Il primo libro si intitola Dio è distratto, il secondo Credo in un solo io e hai una raccolta di racconti molto belli e particolari ancora inediti dal titolo D´io. Spiegaci il perché di questi continui riferimenti al presunto creatore.
Non so se ci sia qualche ragione psicanalitica di fondo. Si tratta di bei titoli, tutto qui.
Oltre che individualmente, porti avanti il tuo impegno letterario anche insieme ad altri scrittori, basti pensare al doppio reading con Angelo Zabaglio o agli eventi letterari con Scrittori precari... Raccontaci cos'è esattamente e perché è nato il collettivo Scrittori Precari.
In questi ultimi mesi, insieme ad Andrea Coffami, Simone Ghelli, Luca Piccolino ed Angelo Zabaglio, abbiamo formato il collettivo Scrittori precari. Esso nasce come rivendicazione della centralità della scrittura e della sua condivisione attraverso la lettura pubblica, intesa anche come forma d'impegno civile in risposta al ritornello della crisi che ci propinano giornali e televisioni. Potete seguire tutte le nostre attività su www.comic-soon.com/blog/precari/.
Dio è distratto parla di amore, di amicizia, di scrittura, di incontri e bevute. Come è nato questo libro? Quali sono i tuoi scrittori di riferimento?
Questo libro nasce sotto l'influenza di Bukowski, Kerouac, Miller, insomma i grandi americani del Novecento, senza dimenticare John Fante. A questo proposito colgo l'occasione per annunciare l'uscita - verso i primi di maggio - dell'antologia di Tespi, E il cagnolino rise. Si tratta di una bella squadra di giovani scrittori che si cimentano nella stesura del racconto, probabilmente mai stato scritto, di cui è autore l'Arturo Bandini di Chiedi alla polvere, capolavoro fantesco. Ritornando al romanzo, che dire? Ancora non l'avete ordinato? È da leggere assolutamente.
Credo in un solo io è un libro impegnato politicamente. Cosa pensi dell'attuale situazione nel nostro paese?
Credo che siamo nel periodo più buio della nostra storia repubblicana. Mafia, massoneria, fascisti di ritorno: chi più ne ha più ne metta. Ma probabilmente non è che lo specchio della società malsana, corrotta e ignorante in cui viviamo. Siamo al delirio totale. Staremo a vedere cosa accadrà. Abbiamo una Carta Costituzionale tra le più avanzate fra tutte le democrazie moderne, eppure non siamo ancora riusciti ad attuarla. Oggi ci ritroviamo a rischio democrazia, se non è già troppo tardi, e la nostra Costituzione viene sistematicamente attaccata da quindici anni a questa parte. C'è però da essere positivi. Siamo arrivati al fondo. Il Cile di Pinochet non è così lontano come può sembrare dalle carte geografiche. Peggio di questo ci sarebbe solo la follia di un golpe militare.
Hai qualche progetto per il futuro?
Mi piacerebbe diventare una grande scrittrice, di quelle che vendono milioni di copie scrivendo delle loro esperienze sessuali, di quelle che hanno blog visitatissimi da puttanelle in calore e maschietti repressi. Facciamo qualche nome? Ma no, dai, evitiamo di prender querele…
di Gianluca Liguori
Zabaglio non è lettura per persone sensibili, come scrive egli stesso nella prefazione, e aggiungerei io che non lo è nemmeno per i è deboli di cuore, i puritani, chi soffre di attacchi di panico, chi è dedito a letteratura fantasy o d'amore o d'avventura e a tutti i cliché di modi perbene di essere o di scrivere. Zabaglio è fuori dalla normalità, e lo è magnificamente, splendidamente, da grande artista.
Lavorare stronca è un melting-pot d’idee bizzarre, assurde, il risultato è uno specchio surreale di una quotidianità alienante, a volte logorante, altre viva. Lavorare stronca sono ventitré racconti, ventitré infiniti momenti che vanno dall'assurdo all'eccesso, dallo squilibrio al sogno, per poi immergersi nuovamente nella realtà, mai noiosa quando è raccontata dal personaggio in questione. Il libro ti cattura, e come finisci un racconto non vedi l'ora di cominciarne un altro. Tra risate e riflessioni, ansie e paure, resoconti reali, irreali e surreali che possono essere frutto solamente di una mente geniale. Follemente geniale.
Il nostro ben padroneggia un linguaggio versatile, poliedrico, istrionico nel senso positivo del termine, mai domo. La qualità complessiva è ottima, nonostante alcuni brani possano lasciar perplesso il lettore, ma per quel che penso, lasciano perplesso persino l'autore stesso!
Le perle di questa antologia che si apre e si chiude con due barzellette sono sicuramente La persona chiamata non è al momento raggiungibile, racconto sviluppato magistralmente, storie di uomini e donne che si incontrano, si allontanano, si cercano, si mancano, che chiude lasciando assaporare al lettore il sapore amaro della triste impossibilità; Lo zaino nero, racconto vivo, che poi solo alla fine svela l'episodio appartenere ad una realtà onirica che rappresenta l'uomo, l'individuo, con tutte le sue paure personali. Ma in questo variegatissimo libro quello che non manca sono certamente i momenti per ridere, l'umorismo in cui Zabaglio guazza come fosse il suo habitat naturale, come ad esempio nel racconto d'apertura Ah, la giustizia!, racconto ben costruito, irriverente, potrebbe pure inorridire qualcuno, risultare scabroso per certi versi, ma a me personalmente ha fatto morir dal ridere, e ancora risate in Come nei film americani, divertente (dis)avventura d'amore con una turista americana tra il Colosseo e Porta Portese, in cui l’autore si cimenta in maniera formidabile anche in romanesco dimostrandosi autore duttile e variopinto.
Angelo Zabaglio ci delizia con questi 23 racconti lavorati a mano in cui dimostra di essere oramai autore maturo senza aver smarrito lo spirito di scoperta fanciullesco, miscelando il possibile e l'impossibile, per un risultato tutto da leggere.
Ci troviamo in compagnia di Andrea Coffami, coautore insieme ad Angelo Zabaglio della raccolta di racconti Lavorare stronca (Tespi, 2008). Innanzitutto toglimi una curiosità, come mai ti sei presentato tu quando l'appuntamento era con Angelo Zabaglio?
Veramente passavo di qui per caso. Ho chiesto un rum e pera e sei arrivato tu. Comunque puoi chiedere a me, conosco Angelo da prima che nascesse.
Partiamo dal titolo della raccolta, Lavorare stronca. 23 racconti lavorati a mano. In proposito al sottotitolo, mi chiedevo quanto è importante per Angelo Zabaglio la masturbazione durante la scrittura?
In realtà il mio ruolo durante la stesura del libro, era quello di solleticare il mio amico Angelo mentre lui scriveva. È stato divertente per entrambi anche se spesso imbarazzante, soprattutto quando scriveva col portatile ai giardini o all'ambasciata spagnola. Riguardo al titolo, come forse ben sai, si tratta di un errore tipografico. Il titolo originale era Lavorare stronza, riferito come atto di accusa al maschilismo bieco che invade il mondo del lavoro. Comunque la raccolta comprende 23 racconti, dei quali solo sei sono scritti bene, il resto sono serviti per allungare il brodo.
Comunque il brodo è venuto saporito, indubbiamente sei riuscito a solleticare bene il nostro autore. Certamente oltre a perle quali “La persona da lei chiamata non è al momento raggiungibile”, “Lo zaino nero” o “Come nei film americani”, ci sono episodi più scherzosi e divertenti, in alcuni addirittura l'autore mette in palio dei premi per chi risolve indovinelli o parole nascoste. Ma poi i premi il paga davvero? Quanto gli è costato finora in termini di gratta e vinci e prestazioni orali?
Non mi parla molto di questo argomento (sono parecchio geloso)...so che un premio orale è stato devoluto in beneficenza ad una bisognosa...ma non saprei dirti altro.
Preferisco non parlarne in verità. Un altro lettore ora è in cura al C.I.M. di Latina e un paio di gratta e vinci li ha dati pure ad un paio di lettori che hanno indovinato il quiz. Con i biglietti entrambi hanno vinto 30 euro ed entrambi hanno speso la vincita a puttane: uno con un'ucraina, l'altro comprandosi il libro di poesie di Sandro Bondi.
Come e da chi è nata l'idea di questa antologia?
L'idea è partita dall'editore che voleva a forza fare qualcosa con noi io ed Angelo abbiamo colto la palla al balzo – come diceva sempre Cicciolina. Allora Angelo ha iniziato a scrivere qualche racconto leggibile e tranquillo, non le cose incomprensibili che di solito capisce solo lui. Poi ha preso un bel po' di robe che aveva già nel cassetto e le ha giusto un po' rilette e risistemate. Quindi ha scritto un paio di racconti “commerciali” dove si parla d'amore, un po' di sangue, un po' sesso, massoneria e tanti treni, tanti tanti treni, partenze e addii. Insomma è un prodotto un po' paraculo, anche nella copertina dove la bellezza della modella viene utilizzata come specchietto per le allodole. Ma il mercato è fatto di questo: belle donne, titoli accattivanti e contenuti scarsi.
Il titolo non c'entra nulla con il libro, nel volume si parla di tutto fuorché di lavoro.
Ecco, il lavoro. Cosa fa nella vita Angelo Zabaglio? E che cosa pensa dell'attuale situazione in Italia? Precariato devastante, crisi economica, politica.
Angioletto ha fatto vari lavori nella sua breve vita (raccoglitore di angurie, spacciatore, sceneggiatore, pulitore di case, segretario in un museo). Non ama molto lavorare ma deve pur campare. Ultimamente vive sui set di film e ogni volta cambia ruolo: una volta è nel reparto regia, la volta dopo in produzione, la volta dopo fa le foto di scena, poi assaggia il caffè del regista per vedere se c'è il veleno, accende l'automobile del produttore per vedere se c'è una bomba, va a letto con le prostitute del regista per vedere se hanno l'AIDS, robe così insomma. L'ultimissimo compito che gli è stato affidato è stato quello di divano. Nel tempo libero organizza microcellule terroristiche al fine d'instaurare una democrazia piccolo borghese, con a capo un pupazzo gigante di Gigi la trottola. In Italia dicono che non ci sia lavoro, non è quello il problema, è che non ci sono i soldi per pagare i lavoratori. Comunque il problema lo abbiamo voluto noi lavoratori, è colpa nostra, di noi che ci pigliamo 600 euro al mese (per tre mesi) e ringraziamo iddìo che abbiamo trovato un lavoro, invece di mandare affanculo chi ci offre questa miseria di stipendio. La crisi economica? Ho letto su Libero che non c'è nessuna crisi, ed io ci credo a Libero. Un quotidiano che si chiama Libero non può che darmi fiducia. La politica? Bah! Non credo nella rappresentanza e questa nostra democrazia è solo una forma di oligarchia che maschera una dittatura. Duemila persone che decidono per sessanta milioni di abitanti è illogico dal mio punto di vista. Alle ultime elezioni Angelo è andato alle urne, ha espresso il suo voto con un peto silenzioso e poi ha scritto sulla scheda “W il duce!” in arabo. Ieri mi faceva discorsi strani su Brunetta, pare gli sia simpatico, poi gli ho levato il termometro dal culo ed ho visto che aveva 43 di febbre.
Progetti e speranze per il futuro.
Al momento non abbiamo nulla in cantiere, da poco è online il cd che ho fatto con Vertigo che si chiama “Maniscalco” (scaricabile dal sito www.jamendo.com) e stiamo lavorando ad una nuova raccolta di poesie e cazzate varie. Abbiamo presentato un progetto per la realizzazione di una fontana di Trevi in scala 1 : 1 ma hanno bocciato il progetto. Angelo vorrebbe dirigere un film in costume ma dobbiamo aspettare la prossima estate che d'inverno in costume si congelerebbe. Io sto scrivendo delle lettere a casaccio negli spazi bianchi dei cruciverba. Riguardo la speranza invece...la nostra speranza rimane sempre la stessa: la fame nel mondo. Speriamo in un mondo dove tutti abbiano sempre fame, in continuazione. Sarebbe un mondo perfetto.
Un mondo perfetto...chissà. Salutiamo gli amici di Re-volver dando appuntamento in rete con Zabaglio e Coffami. Dove?
In rete ci trovate su un Permaflex da una piazza e mezza tra Latina e Roma.
Nel web il blog di Angelo è www.zabaglioangelo.splinder.com mentre il mio space è www.myspace.com/andreacoffami
Vi segnaliamo anche lo spazio del nostro amico Vertigo su www.myspace.com/vertigozabaglio
Per comprare il libro invece andate su www.tespi.it e seguite le semplici istruzioni per l'acquisto.
Per chi non ha internet Angelo lo beccate spesso nei peggiori pub di Caracas o in quei locali che frequenta lui pieni di comunisti. A novembre è probabile che sarà a Milano per una Slam Poetry, oppure se il 4 dicembre siete in zona Nettuno, andrà dal dentista in via Lotrito che si deve levare due denti marci.
Grazie Gianluca della bella chiacchierata, ora paga tu il conto, non ho con me il portafogli...come avrai notato ho dimenticato a casa i pantaloni.
La Permaflex di Licio Gelli? Sei iscritto alla P2?
Certo che sono iscritto! Mi ero innamorato di una piduista e l'ho fatto per amore. Ma poi lei è morta, uccisa nel capodanno del 1983 da un tappo di bottiglia che gli è schizzato nella trachea...almeno così dicono le fonti ufficiali. Ed ora mi ritrovo con questa tessera e non so che farmene. L'unica utilità è che ho lo sconto al multisala della Medusa.
Ok Andrea, grazie del tempo e della disponibilità, e saluta Angelo da parte nostra. E un'altra cosa. La prossima volta, i pantaloni.
di Giorgia Tribuiani
I find it hard to tell you
I find it hard to take
When people run in circles
It’s a very very
Mad world…
(Mad World, Gary Jules)
Sala d’attesa, sì, sono in una sala d’attesa e quando mi hanno detto che se fossi venuto qui avrei capito qualcosa in più della mia vita, quando mi hanno detto che se avessi avuto le palle di venire fin qui mi avrebbero mostrato il vero significato della vita e la sua vera essenza, non mi sarei mai aspettato di arrivare in una sala d’attesa simile a tutte le altre, una sala d’attesa dove c’è chi si soffia il naso e furtivo sbircia nel fazzoletto per controllare se ha ripulito bene le vie respiratorie, dove qualcun altro cerca riviste in una grossa cesta verde, dove si sente lo scarico del gabinetto che nella stanza affianco si sta liberando delle evacuazioni di chi si è liberato dentro di lui. Sala d’attesa, sì, sala d’attesa, e io dentro come tutti gli altri, immobile e annoiato ad aspettare. Ci sono brutte piante, dai fiori rinsecchiti, e sottovasi che nascondono formiche, ci sono finestre aperte e c’è un paesaggio arido fuori che risucchia il fumo delle sigarette infinite che fumiamo qui dentro. C’è fumo, infatti, c’è tanto fumo, la gente si annoia, la gente si scoccia eppure non se ne va, perché se aspettiamo, se siamo buoni e zitti e in santa pace arriverà qualcuno e ci mostrerà la vera essenza della vita, dicono. E così niente da fare, aspetto, sto buono e zitto e in santa pace pure io perché ‘sta cosa mi interessa, voglio scoprire cosa nascondono le cose e penso che dovessi aspettare anche tutta la vita lo farò, lo farò, e forse qualcuno mi legge nel pensiero perché finalmente si apre la porta in fondo alla sala e fanno il mio nome, il mio nome per primo, non perché sono il più buono e silenzioso di tutti, ma perché sono qui dalle sette, il primo ad essere arrivato, la cavia, si può dire, del resto; la cavia, sì, la cavia e loro fanno il mio nome e un tizio tutto vestito di bianco e bianco in volto e bianco sul collo e bianco anche sulle mani, non fosse per una spazzolata di peli neri neri qua e là, si fa avanti e mi porge il braccio e io come una vecchietta mi metto sottobraccio e mi lascio condurre da lui fuori dalla saletta. La gente mi guarda e mi invidia, sono il primo della lista. Buongiorno, dico all’uomo, buongiorno risponde lui, ti condurrò dove vuoi essere condotto, dice, e io ringrazio e chiedo quanto ci vorrà. Poco, dice lui, ci vorrà poco in fin dei conti, ma dovrò portarti lungo un corridoio che ti sembrerà infinito e per questo ti racconterò una storia, sì, una bella storia, dice e vede che io lo guardo un po’ perplesso e sorride e con la mano libera dà qualche pacca amichevole alla mia mano che è sopra il suo avambraccio e dice vieni, dice non ti preoccupare, è una storia che ti distrarrà ed è una storia di talpe, ci sono tante talpe tutte nascosti nell’erba e fanno tutte gli stessi pensieri, ma non riescono a vedere cosa hanno intorno e non riescono a vedersi tra loro, perché sono cieche, così parlano parlano, ma non si vedono mai e non si capiscono mai fino in fondo e quindi non si conoscono mai fino in fondo, dice e io lo guardo e sto zitto perché non capisco perché mai quell’uomo debba stare lì a parlarmi di talpe, ma non faccio domande e allora lui seguita e dice che le talpe si sentono molto astute e ogni tanto, siccome piove troppo e l’erba si bagna e il terreno marcisce, alcune imparano ad arrampicarsi e ci sono quelle che riescono ad arrampicarsi più in alto delle altre e arrivano su dei sassi, più asciutti dell’erba, approdano su sassi più asciutti della terra, sì, e per questo si sentono migliori di altre talpe. Migliori delle altre?, mi chiedo io, e non capisco perché debbano sentirsi migliori, ma non domando niente all’uomo, semplicemente lo seguo, mi lascio guidare e siamo in un lungo corridoio, tutto bianco come l’uomo, senza porte e senza finestre, un corridoio tanto incolore da apparire inesistente e quasi mi perdo in quel bianco, in quel nulla, ma i miei sensi funzionano ancora, odo il passo mio e quello dell’uomo, odo le sue parole e sento il pavimento sotto i miei piedi, così non mi spavento più di tanto e mentre non mi spavento giungiamo alla fine del corridoio e giriamo a destra, dove si apre un altro lunghissimo corridoio del quale non vedo la fine, il soffitto, le pareti. Queste talpe, continua intanto l’uomo che mi accompagna, non sono solo in grado di arrampicarsi, queste talpe sanno soprattutto scavare il terreno, possono utilizzare le zampette per creare piccole fosse nella fanghiglia e poi lunghi buchi e lunghissimi cunicoli e trovare del cibo nascosto nella terra: è cibo che non le sfamerà mai, che non sarà mai in grado di placare tutto il loro appetito, ma ben presto le talpe si convincono che scavando sempre di più avranno sempre più cibo e si convincono che alla fine, arrivate al centro della terra, troveranno una specie di Eldorado delle talpe fatta tutta di pezzettini di cibo e allora scavano scavano e scavano e non si stancano mai di scavare, ma in realtà non trovano mai niente di speciale, solo qualche ticchettino di roba da mangiare, ma niente di più. Niente di più, penso io e ho uno strano déjà vu, ma non ci penso più di tanto, la cosa non mi interessa, voglio sentir parlare delle talpe e intanto non mi accorgo che ogni volta il corridoio finisce e io e il mio accompagnatore svoltiamo e svoltiamo e non facciamo altro che svoltare, ma tutto ciò che mi interessa in questo momento sono le talpe e vengo a sapere che le talpe che si arrampicano vengono chiamate dalle altre “talpe del potere”, mentre quelle che scavano vengono soprannominate “talpe del sapere”. E che differenza c’è tra le talpe del potere e le talpe del sapere?, chiedo allora io e il mio accompagnatore sorride e poi ride e alla fine si sganascia dalle risate e dice nessuna, non c’è nessuna differenza, sono solo nomi stupidi che inventano le talpe per distinguersi le une dalle altre, perché qualsiasi cosa facciano le talpe restano sempre talpe e le talpe del potere non hanno niente di diverso dalle talpe del sapere, né dalle talpe che se ne stanno rintanate tra l’erba, né dalle talpe che giocano a rincorrersi tra loro, si acchiappano, se ne stanno l’una sull’altra e poi annoiate non si ricordano nemmeno più perché si erano rincorse e si mettono a dormire, nessuna differenza tra le varie talpe, dice il mio accompagnatore e svolta l’angolo del corridoio e poi di nuovo dice nessuna differenza, proprio nessuna, alla fine sono solo un mucchio di talpe in un terreno e non sanno che non potranno mai uscire da quel terreno, né arrampicandosi né scavando, perché né arrampicandosi né scavando potranno mai vedere altro che terra, cielo ed erba, mai nient’altro che il loro terreno, sono tanti inutili animali soli e persi in un pantano. Così dice il mio accompagnatore e svolta l’angolo e cammina e svolta l’angolo e svolta ancora e poi un’altra volta e alla fine il corridoio è finito ed è finita la storia e c’è una porticina davanti a noi e lui mi dice apri, dai su, apri, troverai quello che cercavi, troverai la Realtà con la R maiuscola e io allungo una mano, tremo, afferro la maniglia, stringo la maniglia, tremo, chiudo gli occhi, ho paura, tiro la maniglia, tremo, apro la porta, apro gli occhi.
Sono di nuovo nella sala d’attesa e sento qualcuno chiamare l’uomo che si stava soffiando il naso e io sono di nuovo qui, nella stessa sala d’attesa e dietro di me la porta si è chiusa e io non so se piangere o ridere o uccidermi e non so niente e l’unica cosa che so è che sono dov’ero prima, davanti alla gente di prima. Sono lì e mi guardano e io guardo loro: tanti inutili animali soli e persi in un pantano.