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16 Maggio 2011 ore 21
GABRIELE LAVIA & RITA MARCOTULLI

Il sogno di un uomo ridicolo

di Fedor Michajlovic Dostoevskij

"Sono un uomo ridicolo.
Adesso poi loro dicono che sono pazzo..."

Chi è ‘l’uomo ridicolo’? E’ un uomo del ‘sottosuolo’ , cioè di quell’inferno sulla terra abitato da dannati che vivono in cupa solitudine, indifferenza, livore, odio nei confronti degli altri. Essi si sottomettono alle pene di questo inferno, come per una fatalità crudele e misteriosa, e, a un tempo, conservano gelosamente un lucido senso della colpa che li condanna a vivere un’esperienza carica di esaltazione frenetica e sofferente. E allora perché ‘ridicolo’? Perché, a differenza degli altri dannati, quest’uomo ha scoperto il segreto della bellezza e della felicità, il segreto per ‘rimettere tutto a posto’. ‘Ama gli altri come te stesso’ ‘vecchia verità che non ha mai attecchito’… E appunto nell’assurda proposta d’amore per il prossimo si trova tutta la sua ‘ridicolaggine’. Ma, attenzione, quest’uomo ridicolo è consapevole dell’impossibilità di riuscita del suo progetto, eppure nel raccontare, nel ‘predicare’ la ‘vecchia verità’ trova il senso più profondo e l’unico scopo possibile della vita: mostrare la via di salvezza agli uomini pur sapendo che non vi è possibilità di riuscita e di vittoria. Il sogno di un uomo ridicolo è forse la più sconcertante opera di Dostoevskij. Nella situazione paradossale di un uomo che, decidendo di suicidarsi, si addormenta davanti alla rivoltella e ‘sogna’ il suicidio e la vita dopo la morte, lo scrittore, con una partecipazione sconvolgente e appassionata ci racconta come l’umanità si sia rovinata per sempre. E la coscienza che l’uomo non può vivere senza individualità significa che la condizione umana è senza via d’uscita.[…] Quello che posso dire è solo la parte superficiale, visibile, della messa-in-scena di un racconto non scritto per il teatro. Essa si fonda tutta sull’idea del ‘doppio’ e della moltiplicazione dell’Io. Il mio desiderio è quello di rappresentare una umanità che si è condannata alla sofferenza, autoreclusa, serrata e costretta in una metaforica camicia di forza, vista come condizione e impedimento di ogni azione ‘buona’. Non c’è altra possibilità che raccontare, raccontare e ancora raccontare un pensiero allucinato e impotente.

GABRIELE LAVIA
Figura tra le più rappresentative del teatro italiano degli ultimi quarant'anni, Gabriele Lavia debutta come attore teatrale nel 1963 dopo il diploma all'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica.
È stato diretto in teatro da molti importanti registi tra i quali Giancarlo Sbragia, Luigi Squarzina, Giorgio Strehler, Mario Missiroli. Regista lui stesso del fassbinderiano Scandalosa Gilda, del noir-erotico Sensi e La lupa, tutti con Monica Guerritore. Negli anni settanta e ottanta partecipa a tre fondamentali pellicole horror come Profondo Rosso, Inferno di Dario Argento e Zeder di Pupi Avati.
Come regista teatrale esordisce nel 1975 con Otello di William Shakespeare e come regista cinematografico, nel 1983 con il film Il principe di Homburg (grazie al quale nel 1984 si aggiudica il Nastro d'Argento al miglior regista esordiente). Come regista d'Opera lirica il suo esordio è nel 1983 con I pellegrini alla Mecca di Gluck.
Come attore cinematografico è stato diretto anche da Francesco Nuti, Dario Argento, Gabriele Muccino, Tonino Cervi, Giuseppe Tornatore, Pupi Avati, Francesco Maselli, Damiano Damiani, Mauro Bolognini. Nel 2004 è il vincitore del Premio Olimpici del Teatro per la migliore regia e per il migliore spettacolo (L'avaro di Molière). Ha prestato la sua voce in alcuni doppiaggi, come Hugo Weaving in V per Vendetta (2005) e Stanley Tucci in Il diavolo veste Prada (2006).
Da dicembre 2010 è il nuovo Direttore del Teatro di Roma.

 

 

 

 

 

RITA MARCOTULLI
Pianista italiana tra le più apprezzate a livello internazionale, dopo una formazione classica presso il Conservatorio di Santa Cecilia inizia a collaborare, dai primi anni ottanta, con importanti musicisti europei e americani come John Christensen, Palle Danielsson, Peter Erskine, Richard Galliano, Steve Grossman, Joe Henderson, Hélène La Barriere, Joe Lovano, Marilyn Mazur, Charlie Mariano, Tony Oxley, Michel Portal, Enrico Rava, Michel Bénita, Aldo Romano, Kenny Wheeler.
Nel 1987 la rivista "Musica Jazz" la nomina miglior nuovo talento musicale dell'anno. Dal 1988 al 1990 fa parte della band di Billy Cobham. Tra il 1994 ed il 1996, collabora con Pino Daniele, Roberto Gatto, Ambrogio Sparagna, Bob Moses, Charlie Mariano, Marylin Mazur. Suona nel 1996 con Pat Metheny per il festival di Sanremo. Da 14 anni accompagna Dewey Redman in tutti i suoi concerti. Autrice di una discografia numerosa e importante, bisogna perlomeno citare l'incisione in duo con Andy Sheppard "On The Edge Of A Perfect Moment", il piano solo di "The Light Side Of The Moon" e "Us and them", omaggio ai Pink Floyd.
Rita Macotulli ha vinto quest'anno il Premio Ciak d'oro e il Nastro d'argento per la miglior colonna sonora del film "Basilicata Coast to Coast" di Rocco Papaleo.

Biglietti: intero 20,00euro, ridotto15,00euro
Prenotazioni e informazioni email: promozione@teatrovascello.it oppure per telefono 065898031, 06 5881021

TEATRO VASCELLO UNO SPAZIO DI LIBERTA’ DOVE L’IMMAGINAZIONE DIVENTA REALTA’
Teatro Stabile d'Innovazione, Ricerca, Formazione e Promozione di nuovi linguaggi
VIA GIACINTO CARINI 78 ROMA MONTEVERDE 00152
Come raggiungerci: Il Teatro Vascello si trova in Via G. Carini 78 a Monteverde Vecchio (Roma) sopra a Trastevere, vicino al Gianicolo. Con mezzi privati: Parcheggio per automobili lungo Via delle Mura Gianicolensi, a circa 100 metri dal Teatro.
Con mezzi pubblici: autobus 75 si ferma proprio davanti al teatro Vascello e si può prendere da stazione Termini, Colosseo, Piramide, oppure il 44, il 710, 870, 871. Treno Metropolitano che si può prendere da Ostiense fermata Stazione Quattro Venti a due passi dal Teatro Vascello.

Nel 1925, un manifesto di artisti francesi che si firmavano “la révolution surréaliste”, indirizzato  ai direttori dei manicomi, così concludeva: “Domattina, all’ora della visita, quando senza alcun lessico tenterete di comunicare con questi uomini, possiate voi ricordare e riconoscere che nei loro confronti avete una sola superiorità: la forza”.

 

Incipit del discorso su “La distruzione dell’ospedale psichiatrico come luogo di istituzionalizzazione”, Franco Basaglia

A se stesso

Or poserai per sempre,
Stanco mio cor. Perì l'inganno estremo,
Ch'eterno io mi credei. Perì. Ben sento,
In noi di cari inganni,
Non che la speme, il desiderio è spento.
Posa per sempre. Assai
Palpitasti. Non val cosa nessuna
I moti tuoi, nè di sospiri è degna
La terra. Amaro e noia
La vita, altro mai nulla; e fango è il mondo
T'acqueta omai. Dispera
L'ultima volta. Al gener nostro il fato
Non donò che il morire. Omai disprezza
Te, la natura, il brutto
Poter che, ascoso, a comun danno impera
E l'infinita vanità del tutto

Giacomo Leopardi, Ciclo di Aspasia

Coloro che vengono qui soltanto per ascoltare
una commedia gaia, licenziosa e rumore di scudi
cozzanti; coloro che vengono qui per vedere
un buffone multicolore resteranno delusi nella
loro aspettativa.

William Shakespeare, Prologo dell’Enrico VIII

ed Epigrafe del primo numero

dell’Zeitschrift für musik

Il futuro non è qui. Questa desolata Italia, teatro di mutui suicidi. L'omologazione è una cosa claustrofobica. Non lo senti l'affannoso soffocare della tua mente, lettore? È tutto uguale, tutto sistematicamente uguale. E noioso. E indifferente. Non la senti la tua tristezza, lettore, come lo sguardo di un povero vecchio che guarda in una sera malinconica una lampadina di Natale fuori periodo? Lettore, mi senti? Senti la rabbia con cui parlo e mi porto alle tue orecchie, con la pretesa di farti paura e di non lasciarti dormire la notte?

Ogni opera d'arte, ricorda, deve differire dalla precedente, cercare un'elevazione o tentare una via alternativa per far giungere il proprio messaggio. Mai l'arte deve riprodurre in serie un oggetto; si chiamerebbe industria. Ti piace l'industria? Operai incollati all'alienante routine, privi persino del coraggio di guardarsi l’un l’altro.

Così non può andare.

Quasi duecento anni or sono, Leopardi scrisse la poesia A se stesso denunciando “l’infinita vanità del tutto”. Eccomi, con l’identica sensazione, a osservare il panorama culturale italiano. A me, nonostante tutto, qualche battito d’amore è rimasto: è necessario creare un nuovo paradigma editoriale. Con volontà viscerale mi propongo quindi di donarvi una rivista; una sfida con me stesso che m'impone di non scodinzolare festante dietro i classici modelli editoriali del nostro vecchio, marcio, brutalizzato paese. Con incoscienza mi espongo a voi, mostrando un manufatto artigianale intriso di spiriti.

A Roma mi hanno chiamato “il pazzo editore”, attorno ad un tavolo ove i più grandi e ignobili editori bisbigliavano coi più grandi e venduti scrittori. Luca Torzolini con 4 euro in tasca, in attesa della sua poltrona in prima fila allo spettacolo di Fo, che avrebbe grondato lacrime per la grandezza, l'invidia e insieme l'istinto di emulazione provocatogli dal grande vecchio. Sapeva già che si sarebbe odiato in futuro, quando, rendendo pubbliche queste parole, avrebbe ucciso quell’emozione.

E allora chiamateci anche pazzi, ma noi avremo la forza, noi ce l'abbiamo la forza, di strapazzarvi come bambole vecchie e dimostrare che la pazzia è ancora una volta simbolo di superiorità.

Scriveremo una storia, scriveremo La Storia come voi non avete saputo fare. E mentre voi cercherete di sopravvivere, affannando e sbavando come iene attorno alle carcasse di poveri cristi caduti, noi saremo lì a guardare le stelle attraverso un antico cannocchiale e, senza accorgervene, mentre noi guarderemo il cielo e voi ci guarderete, avrete finalmente la netta sensazione di essere caduti proprio in basso.

Luca Torzolini